Ultimo aggiornamento: 11.05.24

 

Ludwig Van Beethoven è uno dei compositori più amati dagli appassionati di musica, specialmente per le sue sinfonie, delle quali andiamo ad analizzare la sesta.

 

Persino chi non è appassionato di musica o non ama particolarmente la classica conosce la produzione di Beethoven. Probabilmente non riuscirà a riconoscerla ad orecchio, ma l’avrà sicuramente sentita da qualche parte. Beethoven è una figura entrata in qualche modo anche nell’immaginario popolare: in ambito cinematografico, il ‘Ludovico Van’ è ampiamente presente nel film di Stanley Kubrick Arancia Meccanica come autore preferito del protagonista Alex e che inoltre dà anche il nome alla tremenda cura alla quale viene sottoposto. E come dimenticare il piccolo musicista Schroeder, personaggio dei Peanuts di Charles Schultz , grande ammiratore del compositore tedesco e capace di suonare le sue complesse sinfonie di Beethoven persino su un pianoforte giocattolo.

Ludwig Van Beethoven ha composto trentadue sonate e nove Sinfonie, sempre cercando di trovare nuove soluzioni fuori dagli schemi dei canoni dell’epoca, motivo per il quale le sue opere a distanza di moltissimi anni suonano ancora attuali. Non è un caso che Beethoven abbia influenzato artisti di svariati generi moderni come il progressive rock, il jazz, la fusion, metal e il pop di stampo più sperimentale. La capacità evocativa di Beethoven trova la sua massima espressione proprio nelle sinfonie.

 La Sinfonia n.6 di Beethoven, conosciuta anche come ‘Pastorale’, infatti evoca proprio un paesaggio naturale, nel quale è piacevole immergersi per sentire i rumori della natura. In una lettera Beethoven descrive la sua passione nel camminare nei luoghi naturali, in quanto in grado di dare all’uomo l’ispirazione che spesso deriva da una profonda meditazione. Beethoven, vissuto nel pieno periodo del romanticismo, riusciva a trasformare i suoni della natura come il cinguettio degli uccelli e lo scorrere dei fiumi in musica, scrivendo note musicali in base a ciò che sentiva. 

E così, dopo diverse avventure nei boschi vicino Vienna, il compositore comincia la stesura della Pastorale. La Sesta Sinfonia Op. 68 in Fa Maggiore viene completata nel 1808 e pubblicata nel 1809. Spesso considerata l’antitesi rispetto alla Sinfonia V Op.67, le due opere entrano in un dinamico contrasto che vede la V come una esaltazione epica della vittoria, mentre la sesta di Beethoven come una sorta di meditazione al quale l’uomo si sottopone per trovare l’equilibrio. 

Anche a livello musicale, siamo su stili ben diversi: la sinfonia V colpisce per gli ottoni e per gli improvvisi crescendo. La V sinfonia ha una tensione interna che riesce a creare delle emozioni possenti nell’ascoltatore anche attraverso la pura musica che non necessariamente ha bisogno di venire interpretata attraverso le immagini. La VI Sinfonia d’altra parte risulta più evocativa, d’altronde la composizione è conosciuta come la ‘Pastorale’ di Beethoven

Gli studiosi dell’opera di Beethoven infatti ritengono che la VI Sinfonia sia un esempio di ‘arte totale’, ovvero quello delle immagini messe in musica. E sotto un certo punto di vista, il voler trasformare le immagini in musica è stata una delle grandi sfide dei musicisti classici. Al giorno d’oggi attraverso i campioni e le moderne tecnologie è possibile portare in una composizione diversi suoni ambientali, ma all’epoca l’unico modo per farlo era usare gli strumenti. Probabilmente quando Beethoven compose l’Eroica e la Pastorale voleva proprio cercare differenza stilistiche tra la musica pura e il tentativo di elevarla ad arte suprema. 

La struttura della Sinfonia VI

La Sinfonia VI parte con il primo movimento composto da un crescendo dei vari strumenti che vanno a rappresentare il risveglio della natura, o magari dello stesso autore che si trova a riposare in un bosco. Beethoven riesce a creare questo crescendo proprio grazie ad una serie di strumenti che si intrecciano tra di loro, mantenendo comunque un tema ben preciso. 

Il secondo Movimento della Sinfonia Pastorale di Beethoven, ovvero quello della ‘Scena al ruscello’ si sviluppa in forma-sonata e ha come protagonista la sezione di archi che viene usata per cullare l’ascoltatore e rappresentare lo scorrere delle acque. Non mancano le sezioni degli strumenti a fiato che portano nella composizione i suoni di uccelli come l’usignolo e il cuculo. 

Nel terzo Movimento, ‘Allegra Riunione dei Contadini’ vuole rappresentare la vita campestre, vista dall’autore romantico come una sorta di idillio arcadico dove danze campestri e festeggiamenti. Qui la Sinfonia di Beethoven assume toni pacifici in attesa della tempesta del seguente movimento. 

Dalla festa campestre si passa alla ‘Bufera, Tempesta’, ispirata da Wolfgang Amadeus Mozart. Il crescendo parte con dei ‘pizzicati’ sugli archi a rappresentare le gocce di pioggia, per poi passare a tonalità più basse e cupe del temporale vero e proprio. Si torna in seguito alla serenità, con un flauto che dipinge un arcobaleno e apre sull’ultimo movimento che riprende parte del tema del primo. Qui Beethoven vuole descrivere la gratitudine dei pastori al termine della tempesta. L’autore quindi torna sul suo cammino, uscendo dalla foresta che lo saluta con gli stessi suoni con i quali lo ha accolto, così termina la Pastorale.

La Sinfonia Pastorale è molto amata dagli appassionati di musica classica, molti infatti la ritengono una delle migliori opere mai scritte, proprio per la sua capacità innata di evocare e di raccontare un’avventura in una foresta magica, utilizzando solo ed esclusivamente la musica. Se si pensa che Beethoven ha avuto problemi di udito sin da giovane, tutta la sua opera diventa ancora più incredibile. La musica del genio tedesco è estremamente complessa, ma nulla vieta di studiare la Sesta Sinfonia di Beethoven al pianoforte o su una tastiera Yamaha, per imparare alcuni passaggi che possono arricchire il proprio repertorio. 

 

 

 

Ultimo aggiornamento: 11.05.24

 

La musica italiana negli anni ‘70 era in pieno fermento, grazie ad autori che sono entrati poi nella storia della nostra cultura musicale. 

 

Per molti appassionati forse un po’ troppo oltranzisti, la vera musica è finita con gli anni ‘70. Un paradosso, se pensiamo che di questi tempi si sente una gran nostalgia degli anni ‘80 e ‘90 rispetto alla musica moderna, ritenuta da molti prodotta a tavolino e per certi versi ‘finta’ a causa di alcune soluzioni come l’autotune. 

Sebbene la buona musica sia uscita anche dopo gli anni ‘70 è innegabile che quel periodo ha portato una ventata di aria fresca, grazie a nuove correnti in seguito diventate i generi musicali più conosciuti. 

La musica italiana negli  ‘70  ha portato tantissime innovazioni non solo in ambito strettamente pop, ma anche in generi meno conosciuti al pubblico come ad esempio il prog rock. In particolare, abbiamo avuto una generazione di artisti e cantautori di altissimo livello che ancora oggi continuano ad allietare gli appassionati e sono fonte di ispirazione per chi vuole cimentarsi con il cantautorato in italiano. 

Qui di seguito troverete una rassegna di alcuni delle canzoni italiane degli anni ‘70 più belle. Potete trovare tantissime hit sul web, basta cercare su youtube ‘musica italiana anni 70’ oppure ‘musica anni 70 80’.

 

Lucio Battisti – Si,viaggiare

Lucio Battisti è considerato uno dei più grandi cantautori italiani, capace di interpretare tantissimi generi musicali con grande personalità. Dalla classica ballata pop all’italiana, passando dal blues e sfociando anche su brani rock e prog, Lucio Battisti resta un punto di riferimento della musica nostrana. Parte del suo successo lo deve anche ai testi di Giulio Rapetti, in arte Mogol, paroliere di prim’ordine che ha lavorato con tantissimi autori e band di grande importanza. Si, Viaggiare è un brano che colpisce per il suo arrangiamento, per il ritmo e per gli assoli creati con tastiere midi e sintetizzatori. La voce leggera di Battisti ci accompagna per un vero e proprio viaggio fisico e spirituale, dove la strofa si alterna benissimo con il ritornello e il crescendo finale. 

Vasco Rossi – Fegato Spappolato

Nel 1979 Vasco Rossi comincia la sua ascesa verso l’Olimpo della musica italiana, proponendo brani decisamente fuori dagli schemi per la tradizione musicale del nostro paese. In una scena musicale commerciale fatta di canzoni d’amore, Blasco canta di una giornata passata nella festa di paese (probabilmente di Zocca) dopo una sbornia presa la sera prima. Il brano segue una composizione funk\jazz, ma è intriso di spirito punk che lo ha reso un manifesto generazionale, tra l’altro riesce a dipingere una certa realtà giovanile nei piccoli paesi. Il tutto si chiude con un estratto di God Save The Queen dei Sex Pistols. 

 

Rino Gaetano – Gianna

Tra i cantautori italiani degli anni ‘70, Rino Gaetano è stato amatissimo per la sua sincerità e per la sua capacità di scrivere testi all’apparenza semplici, ma che contenevano sempre significati. Se all’apparenza ‘Gianna’ è una canzone positiva, dedicata ad una ragazza, in realtà Gaetano denuncia alcune cattive abitudini italiane, come ad esempio quella di accontentarsi rinunciando agli ideali pur di stare comodi. E nonostante il brano sia allegro e festaiolo, il messaggio è tutt’altro che positivo, un po’ come altri brani di Gaetano caratterizzati dalla sua ironia pungente. 

 

Patty Pravo – Pazza idea

Nicoletta Strambelli in arte Patty Pravo viene spesso considerata una delle più grandi cantautrici italiane, non solo per la sua voce particolare, ma anche per il suo modo di interpretare testi trasgressivi. Dopo il suo iniziale periodo ‘beat’, negli anni ‘70 l’artista si dedica alla musica melodica italiana con Pazza idea, la canzone alla quale viene spesso associata. Nel brano, Patty Pravo immagina di fare l’amore con la sua vecchia fiamma, mentre sta frequentando un altro uomo. Musicalmente il brano è una classica ballata all’italiana, retta principalmente dalla voce e dall’intensità interpretativa di Patty Pravo. 

Domenico Modugno – La lontananza

Brano a cavallo tra la musica italiana degli anni 60’ e ‘70, La Lontananza di Modugno è uno dei primi in assoluto a uscire all’inizio del nuovo decennio. Una canzone che parla di una storia d’amore a distanza, scritto con Enrica Bonaccorti e ispirato proprio da uno scambio di missive tra lei e il suo ragazzo. Il brano ha quel sapore classico della musica leggera italiana degli anni ‘60, della quale Modugno è uno dei più grandi autori. Il brano viene introdotto da una parte recitata di Modugno, per poi aprirsi sul cantato e crescere con una combinazione tra voce e cori, seguendo lo stile tipico delle canzoni anni sessanta. Nonostante al giorno d’oggi ci siano videochiamate, social e whatsapp, la canzone resta attuale in quanto i rapporti d’amore a distanza sono sempre difficili. 

 

Premiata Forneria Marconi – Impressioni di settembre

In Italia le band sono sempre state messe un po’ in secondo piano rispetto ai cantautori, sebbene negli anni ‘70 la scena progressive rock del nostro paese era così fiorente da fare invidia a quella britannica. Impressioni di settembre è un brano splendido che alterna parti di chitarra acustica e voce, con esplosioni strumentali di sintetizzatori. In particolare, il sintetizzatore Moog venne usato per la prima volta in una produzione italiana. Si dice che lo strumento fosse così costoso che la band dovette chiederlo in prestito all’unico importatore italiano dell’epoca. 

 

Pino Daniele – Napule è 

Con questo brano si apre il disco di esordio del grande Pino Daniele, intitolato Terra mia e uscito nel 1977. In questa bellissima canzone di apertura, Pino Daniele parla della sua città natale riuscendo a descriverne pregi e difetti con un gusto agrodolce. Napule è unisce la canzone tradizionale partenopea con elementi jazz e rock che caratterizzeranno poi tutta la discografia di Pino Daniele. 

Lucio Battisti – Acqua azzurra, acqua chiara 

Una delle canzoni anni 70 italiane più famose in assoluto che non poteva certo mancare nella nostra rassegna. Certo, Battisti ha scritto brani più interessanti, ma questo rimane un vero e proprio classico del tempo e una delle più belle canzoni d’amore degli anni ‘70.

 

 

 

Ultimo aggiornamento: 11.05.24

 

Probabilmente avete sentito parlare degli accordi diminuiti, semidiminuiti e aumentati. Scopriamo di più su questi particolari accordi che possono alzare il livello delle vostre composizioni. 

 

State provando a scrivere un brano da giorni usando accordi sul piano maggiori e minori, ma dopo diverse prove e registrazioni non siete ancora convinti. Magari il giro di accordi che avete usato vi suona molto simile ad altri brani di vostra creazione, per questo vi dà un senso di ‘’già sentito’’. Non c’è niente di male a personalizzare il proprio stile di songwriting, l’importante però è che le composizioni non risultino banali. 

Diciamoci la verità, la maggior parte della musica pop moderna non brilla certo per originalità, sebbene i suoi produttori (da non confondere con i cantanti) siano spesso professionisti con una conoscenza teorica e tecnica della musica elevata. Un buon produttore sa quali accordi usare per creare la cosiddetta ‘tensione’ e arricchire i brani. 

Se non avete mai studiato teoria musicale e siete autodidatti sul vostro strumento, non preoccupatevi! Potete imparare facilmente gli accordi diminuiti, semidiminuiti e aumentati in modo da poterli inserire nel vostro repertorio. Vediamo come. 

 

Diminuiti e semidiminuiti

Partiamo dal presupposto che ogni accordo è formato da note, ad esempio il Do maggiore si compone delle note Do, Mi, Sol e Si. Queste note hanno una distanza tra loro che in termini teorici viene chiamata intervallo. Il Do e il Mi hanno un intervallo di Terza maggiore, così come Mi-Sol e Sol-Si, mentre l’accordo Si e Do distano Seconda minore.  

Nella maggior parte degli accordi questi intervalli sono diversi per ogni distanza tra note, tranne che per gli accordi diminuiti, nei quali tra una nota e l’altra troviamo sempre una distanza di Terza Minore. 

Un accordo diminuito quindi sarà formato da intervalli di Terza Minore. Il nostro Do diminuito conterrà le seguenti note: Do, Mi bemolle, Sol bemolle e Si doppio bemolle. Fondamentalmente quindi si tratta di un accordo minore che usa la Quinta diminuita (Sol bemolle) e la Settima diminuita (l’accordo di Sib doppio, ovvero un Si abbassato di due semitoni che diventa un La). Sono proprio le note ‘diminuite’ a dare quella tensione all’accordo. Il suono di un accordo diminuito può risultare un filo ‘dissonante’, suonato da solo ha un che di ‘sinistro’, mentre se inserito in una composizione contribuisce ad aumentare la tensione del brano, per poi risolvere su un accordo comune. Fondamentalmente l’accordo diminuito sostituisce il secondo accordo nel giro (la Quinta), quindi in un giro armonico di Do, potete usare il La diminuito al posto di un accordo di La minore. Questo perché gli accordi minori e i diminuiti sono composti da quasi tutte le stesse note, quindi potrete variare in base al ‘feeling’ che vorrete dare al brano.

Sulla tastiera midi e sul pianoforte gli accordi diminuiti sono abbastanza semplici da eseguire, mentre sulla chitarra si trovano su posizioni decisamente ostiche per la mano, quindi occorre praticare molto sui passaggi in modo da poterli eseguire con la giusta pulizia. In alcuni casi sulla chitarra i diminuiti sono più semplici da eseguire dei minori. Ad esempio Il Si min sulla chitarra si esegue con il barrè, mentre il diminuito non richiede questa tecnica. Lo stesso vale per il Do min che sulla chitarra richiede il barrè, mentre il diminuito ha una posizione aperta. Più semplice da eseguire è il Mi minore, accordo largamente usato nell’hard rock e nel metal.

Quando comincerete a usare gli accordi diminuiti per comporre i brani, probabilmente vi renderete conto che molti brani famosi sono stati scritti usando progressioni di accordi con una sapiente alternanza tra accordi comuni e diminuiti. Ad esempio alcuni accordi di What a Wonderful World di Louis Armstrong sono diminuiti, inoltre sono usati in diversi brani pop, nel jazz e nella musica classica. Nella musica hard rock e metal, i diminuiti sono spesso usati per creare dissonanze e creare suoni più particolari rispetto ai classici power chord. La band canadese Voivod ha costruito un’intera discografia sugli accordi diminuiti, prendendo spunto dai King Crimson e altri gruppi progressive che ne facevano un largo uso. 

Passando agli accordi semidiminuiti, questi sono molto simili ai diminuiti, con la differenza che la settima non è diminuita, bensì minore. Vengono indicati con la siglatura m7b5, quindi un Do semidiminuito verrà riportato come Cm7b5. 

Accordi aumentati

Come gli accordi diminuiti, anche gli aumentati danno all’ascoltatore una sensazione di ‘tensione’ e vengono spesso prima di un accordo risolutivo. La siglatura di questi accordi è ‘aum’, quindi un Do aumentato verrà segnato come Do aum o C aug, mentre per quelli maggiori si aggiunge il +.  A differenza degli accordi diminuiti composti da intervalli di Terza minore, gli aumentati sono costituiti da intervalli di Terza maggiore. Ad esempio il Do aum+ è composto da Do, Mi (Terza Maggiore) e Sol diesis (quinta aumentata). Se gli accordi diminuiti sono quindi formati da quattro note, gli aumentati ne contengono solo tre, risultando molto simili agli accordi maggiori. 

 

Come usare accordi aumentati e diminuiti

Come già scritto nei paragrafi precedenti, gli accordi aumentati e diminuiti sono in grado di dare ‘tensione’ ad un brano. Avendo però un suono particolare e dissonante, questi particolari accordi possono suonare poco piacevoli. Occorre quindi prima trovare tutte le posizioni sulla tastiera dello strumento e suonarli in modo da poter abituare l’orecchio. 

Se siete alle prime armi e siete abituati a suonare solo accordi minori, maggiori o magari di settima (maggiore e minore), gli accordi diminuiti e aumentati vi sembreranno quasi fuori posto. Ed in effetti, sebbene sia possibile comporre brani solo con questi accordi, all’inizio è meglio inserirli in un contesto specifico, ad esempio per sostituire accordi maggiori con gli aumentati e minori con i diminuiti nelle progressioni classiche. 

 

 

 

Ultimo aggiornamento: 11.05.24

 

Il pianoforte è uno strumento affascinante e complesso. Scopriamo di più sui pedali e sulla loro funzione. 

 

Spesso gli appassionati di musica discutono su quale sia lo strumento più completo. La risposta a tale quesito è molto semplice: il pianoforte. Magari qualcuno non sarà d’accordo con questa affermazione, ma il pianoforte permette di eseguire brani di grande complessità ed offre una versatilità davvero incredibile. Dalla musica classica, passando dal pop e per finire al jazz, il pianoforte si trova in qualsiasi genere musicale, persino in quelli più ‘duri’ come il rock e il metal.

Come strumento, il pianoforte non è proprio il più accessibile, infatti per cominciare è sempre una buona idea prendere qualche lezione per apprendere i rudimenti. A differenza della chitarra o di altri strumenti, il pianoforte è decisamente ingombrante, per questo molti optano per un più compatto pianoforte digitale o per una buona tastiera Yamaha. 

La tastiera però non dispone dei pedali del pianoforte, elemento fondamentale dello strumento che permette di ‘giocare’ con il suono e di creare interessanti variazioni. 

 

A cosa servono i pedali del pianoforte?

Il pianoforte è dotato di tre pedali: il pedale sinistro viene chiamato ‘pedale di una corda’ o ‘soft pedale’, il centrale è il ‘pedale tonale’. 

Il pedale di una corda si utilizza per alterare il suono, rendendolo più dolce, quindi adatto per eseguire passaggi più lenti e delicati. 

Il pedale tonale non si trova in tutti i tipi di pianoforte. Conosciuto anche come pedale di mezzo, è usato prevalentemente su pianoforti a coda, sebbene si possa trovare anche su modelli verticali di alcune particolari marche. Fondamentalmente, questo pedale si utilizza per ‘sostenere’ una nota e farla durare per più battute. A livello meccanico, il pedale tonale tiene sollevati gli smorzatori, facendo vibrare le corde fino al rilascio del pedale del pianoforte. L’invenzione di questo pedale è abbastanza ‘recente’, infatti i suoi primi utilizzi risalgono alla seconda metà dell’Ottocento da parte di musicisti come Debussy, e Brahms. 

Il pedale di risonanza spesso si trova come sostituto del pedale tonale nei pianoforti verticali. In generale il suo funzionamento è molto simile a quello tonale, ovvero permette di far vibrare le corde per ottenere un suono sostenuto e lungo. Il pedale viene usato anche per creare armonizzazioni particolari che vanno ad arricchire le composizioni e le improvvisazioni. 

 

Come si riconoscono i pedali sugli spartiti?

Probabilmente avete dato un’occhiata ai vostri spartiti e avete trovato delle linee sotto le barre del pentagramma. Ebbene queste indicano proprio l’uso del pedale, nello specifico la velocità del movimento del piede e quando occorre alzare o abbassare il pedale. Queste particolari scritture si possono combinare a seconda dello spartito, in generale comunque l’uso del pedale va fatto a ritmo con il brano. I pianisti più esperti possono creare loro stessi le variazioni con il pedale a seconda dell’esecuzione. 

Come usare il pedale

Come tutte le cose in musica, anche il pedale del pianoforte obbedisce ad una regola principale, ovvero quella che ne impone l’uso quando cambia l’armonia. I passaggi armonici infatti possono creare un po’ di confusione tra le note del pianoforte, facendo letteralmente ‘impastare’ il suono e rendendolo particolarmente fastidioso. Per questo i pedali vengono usati per rendere l’esecuzione più chiara e precisa. In alcuni casi però, questa regola non viene rispettata, ad esempio Liszt usava il pedale tonale o di risonanza anche sulle armonie sovrapposte. 

Usare correttamente il pedale richiede molta pratica, in quanto sarà necessario esercitare l’orecchio ad ascoltare chiaramente le armonie e i vari passaggi. Il pedale quindi è meno superfluo di quanto si possa immaginare, specialmente nella musica classica di fine ottocento dove è assolutamente necessario per poter eseguire correttamente i brani. Nei brani di musica classica di alcuni compositori come ad esempio Mozart, il pedale non è necessario in quanto i brani sono incentrati sulla precisione del suono più che sulla creazione di armonie particolari. Lo stesso vale per il jazz ed altri generi musicali dove la tecnica di suono necessita di suoni più precisi su ogni nota. 

 

Chi ha inventato il pianoforte?

Come abbiamo visto, i pedali sono stati aggiunti al pianoforte nel corso degli anni. Il pianoforte è uno strumento a corde che si è evoluto nel corso degli anni venendo incontro alle esigenze dei musicisti e dei compositori. L’invenzione del pianoforte risale però al diciottesimo secolo, nello specifico tra la fine del 1600 e il primo decennio del 1711. L’inventore Bartolomeo Cristofori, costruì il primo pianoforte partendo dal cembalo. La prima versione del pianoforte è assolutamente rudimentale, senza i pedali e con martelletti posti sotto le corde. Il suono iniziale non era paragonabile a quello dei pianoforti moderni, in quanto risultava molto più simile allo stesso cembalo o al clavicembalo. 

L’innovazione però stava nella possibilità di imprimere al suono delle gradazioni dinamiche, scegliendo di suonare una stessa nota sia piano sia forte. Così il nome ‘gravecembalo col piano, e forte’, diventa il significato di pianoforte. Questa definizione fu trovata in un inventario degli strumenti della famiglia Medici, i mecenati di Bartolomeo Cristofori che da Padova si trasferì a Firenze. 

Il successo del pianoforte arriva nel 1711, anno nel quale comincia a diffondersi in Europa, con la versione a pedali prodotta da Johann Gottfried Silbermann. Proprio in Germania il pianoforte diventa lo strumento principale di tutti i grandi compositori. 

Ancora oggi, il pianoforte è uno strumento largamente utilizzato e che attira tantissimi appassionati di musica grazie alla sua completezza, versatilità e al suono.