Ultimo aggiornamento: 02.03.21

 

Il leader e cantante dei Pearl Jam ha realizzato un album da solita molto particolare, per le sonorità e per l’utilizzo di uno strumento musicale

Un disco interamente suonato con l’ukulele… e dove sta la novità, direte voi. Beh la novità è che sulla copertina, appena sopra il titolo campeggia il nome di Eddie Vedder che, come i fan sapranno, è lo storico frontman dei Pearl Jam, band che è abituata a far pogare la gente piuttosto che lasciarla a rilassarsi sotto il sole su una spiaggia delle Hawaii sorseggiando un drink da una noce di cocco. I lettori ci perdoneranno questo quadro traboccante di stereotipi ma era per dare l’idea.

Il disco

Ukulele songs è il secondo album solista di Eddie Vedder. Il primo “Music for the motion picture: into the wild” risale al 2007 e nacque sostanzialmente per fare da colonna sonora al film “Into The Wild. Si trattava di un album folk, abbastanza intimistico e questo è certamente un punto di contatto con Ukulele songs del 2011. La maggior parte dei brani è tutta farina del sacco di Eddie ma non mancano le cover che aiutano ad arrivare alla durata minima per un LP; siamo, infatti, sui 35 minuti. Trova spazio anche un brano presente su Riot Act: Can’t Keep che in entrambi i casi fa da apertura. Naturalmente qui il brano è suonato interamente con l’ukulele tanto caro a Vedder.

 

 

Ma è un bel disco? Se dobbiamo dire la nostra, e la diciamo, a noi il disco non è piaciuto ma se siete innamorati pazzi dell’ukulele potreste anche trovare il lavoro memorabile. In questo disco registrato da Vedder con il suo buon ukulele si avverte la mancanza di varietà: tutto si appiattisce sul suono dello strumento. Le canzoni sono monotone e ci mettono poco ad annoiare.

Ora la domanda è: la colpa è di Vedder oppure dello strumento? In altre parole: i pezzi che compongono l’album avrebbero avuto un’altra resa se meglio arrangiati e arricchiti con altri strumenti, fosse anche solo una chitarra acustica? A nostro avviso le cose sarebbero migliorate ma dubitiamo che il disco ci avrebbe conquistati. Queste comunque sono opinioni personali di chi preferisce il lato più rock del leader dei Pearl Jam. Dunque, a chi consigliamo Ukulele songs? A due categorie di persone: agli amanti di questo strumento ma anche ai fan più sfegatati di Vedder e dei Pearl Jam che collezionano tutto ciò che sia collegato alla band.

La carriera di Eddie Vedder

Ma come ha avuto inizio l’avventura di Eddie Vedder con i Pearl Jam? Il cantante si trovava a San Diego quando l’amico e batterista Jack Irons (Red Hot Chili Peppers/Pearl Jam) gli passò un demo di un nuovo gruppo di Seattle contenente dei pezzi strumentali. Vedder scrisse alcuni testi, li incise e rispedì il tutto alla band. La voce baritonale di Vedder, a tratti sofferente, mai banale o piatta convinse immediatamente quei ragazzi di Seattle. Nacquero così i Pearl Jam che nel 1991 pubblicarono il loro debut album: Ten; un disco che non teme di affrontare argomenti delicati e personali come la depressione e la solitudine che comunque erano in linea con il fenomeno Grunge che stava esplodendo.

Il disco è un successo e la bellissima Alive va in heavy rotation tanto in radio quanto sui canali televisivi grazie al videoclip. Nel 1993 arriva Vs che sull’entusiasmo scatenato da Ten vende tantissimo nonostante la band faccia ben poco per promuoverlo. Rifiutarono di girare video, le interviste rilasciate furono poche e sfuggivano alle telecamere.

Il ‘94 fu la volta di Vitalogy, disco un po’ altalenante con ottimi brani affiancati ad altri noiosi. Su Vitalogy c’è Immortality, da più parti ritenuto una sorta di omaggio a Kurt Cobain morto poco prima. Eddie Vedder ha sempre smentito tali conclusioni. La carriera della band è proseguita con regolarità continuando a sfornare dischi su dischi; senza che trascorresse troppo tempo tra un album e l’altro, sintomo non solo di una grande creatività ma anche di un ottimo affiatamento tra i membri.

Vedder: il sopravvissuto del grunge

Nel 1990 (e seguenti) la musica rock ha vissuto la sua ennesima rivoluzione. Il focolaio di questa rivoluzione ha avuto origine a Seattle che si è ritrovata a essere patria del grunge. La scena musicale di quella cittadina era in fermento da qualche tempo ma accomunarla tutta sotto un’unica bandiera fu una forzatura dei media e delle case discografiche.

Insomma, quali sono le somiglianze musicali tra Nirvana, Pearl Jam, Alice in Chains e Soundgarden? Ben poche. Sono (in alcuni casi erano) band con una loro identità musicale ben distinta; inoltre non tutti erano esattamente di Seattle. Fatto sta che il grunge era confezionato e pronto per essere dato in pasto al pubblico.

Con questo non vogliamo sminuire il valore artistico di queste band meritevoli del successo ottenuto. Purtroppo, dei quattro succitati gruppi Eddie Vedder è un sopravvissuto, l’unico dei cantanti rimasti in vita. I suoi illustri colleghi sono morti e non per cause naturali, a cominciare da Kurt Cobain, il primo sulla lista del coroner. Ben presto il cantante dei Nirvana è stato seguito da Layne Staley degli Alice in Chains e poi Chris Cornell dei Soundgarden.

 

 

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