The Piper At The Gates of Dawn – Recensione

Ultimo aggiornamento: 26.04.24

 

Principale vantaggio

L’album dei Pink Floyd che ha dato inizio alla loro incredibile carriera, The Piper at The Gates of Dawn viene ancora considerato uno dei lavori prog\psychedelic rock più belli mai realizzati. La formazione originale che vede Syd Barrett alla chitarra, realizza un disco che è una vera e propria valanga di suoni, un progetto innovativo che ha contribuito ad influenzare diverse band progressive e psichedeliche negli anni successivi. Nonostante sia un filo ‘acerbo’ e ancora legato ad alcuni stilemi della scena rock e prog rock britannica, il disco è un vero capolavoro, con tracce spaziali come Astronomy Divine, il rock più classico di Lucifer Sam, la follia di Take Up Thy Stethoscope and Walk e l’esplosione caleidoscopica di Interstellar Overdrive. 

 

Principale svantaggio

Difficile trovare un difetto in questo disco dei Pink Floyd. Se però vi siete avvicinati da poco alla loro discografia perché attratti dai loro album più conosciuti, allora preparatevi a sentire una band molto diversa da quella che conoscete. Dimenticate le sonorità oniriche e quasi soavi proposte dalla formazione con David Gilmour, con Syd Barrett si viaggia su toni più distorti e tesi. I giri di chitarra e gli stessi assoli sono decisamente più ‘schizzati’, mentre l’atmosfera generale del disco non è per niente rassicurante, anche nei brani più ‘leggeri’ come The Gnome. 

 

Verdetto: 9.7/10

Se siete dei fan dei Pink Floyd e del rock psichedelico o progressive, non potete proprio farvi sfuggire questo incredibile album. Chiaramente siamo ben lontani dalle sonorità che hanno portato i Pink Floyd al successo, ma ci troviamo comunque davanti ad un disco di livello altissimo, specialmente per un debutto. Un lavoro importante per capire l’evoluzione della band ed apprezzare l’abilità compositiva del compianto Syd Barrett. Il nostro verdetto è positivo, sebbene ci riserviamo di non dargli un punteggio pieno proprio per alcuni parti un po’ troppo ‘acerbe’. 

Clicca qui per vedere il prezzo

 

 

DESCRIZIONE CARATTERISTICHE PRINCIPALI 

 

Un debutto con i fiocchi

Alla fine degli anni ‘60, la musica inglese aveva praticamente conquistato il mondo, non a caso si parla della ‘British Invasion’ per indicare quel particolare periodo storico caratterizzato da band rock composte da giovani musicisti. Tra queste ovviamente figuravano i già famosi The Beatles e i The Kinks. In Inghilterra però i musicisti stavano subendo il fascino del jazz e della fusion, delle jam session e della mescolanza tra i suoni al fine di creare atmosfere volutamente confuse e caotiche. 

Per questo nel Regno Unito iniziano a formarsi le prime band ‘prototipo’ dei generi come il rock progressive e psichedelico, in particolare nella zona di Canterbury. I Pink Floyd capitanati da Syd Barrett registrano il loro debutto nel 1967, con influenze che vanno dalle tipiche rock band inglesi, per poi sfociare nella totale psichedelia. 

Le tracce

The Piper at the gates of dawn è l’unico disco dei Pink Floyd interamente composto da Syd Barrett, in quanto già l’anno successivo il musicista cominciò ad abbandonarsi all’uso di droghe, lasciando il ruolo di chitarrista al ben più lucido David Gilmour. Lo stile dei due è decisamente diverso: se siete abituati al sound rilassato e onirico della chitarra di Gilmour, preparatevi perché quello di Barrett è completamente diverso. 

Il disco si apre con Astronomy Divine, un brano apprezzato anche da band di altri generi musicali (famosa la cover della band metal Voivod) per le sue variazioni e per il tema ‘spaziale’. Si va sul rock più classico di Lucifer Sam e Matilda Mother, due brani che potrebbero far venire in mente i The Beatles, ma sotto effetto di acidi. 

Le prime sei tracce (sono dodici in tutto) chiudono il lato A del vinile con la folle Take Up Thy Stethoscope and Walk, per poi ripartire con un brano nel quale si potrebbe riassumere il concetto di rock psichedelico: Interstellar Overdrive. The Gnome invece si attesta su tonalità più leggere, con una chitarra acustica e la voce di Barrett che comunque tiene alta la tensione, con atmosfere sinistre che stridono con il testo spensierato del bran. 

 

Il remaster

Concludiamo la nostra recensione parlando del remaster a cura di James Guthrie, co-produttore del disco The Wall. In generale Guthrie ha fatto un buon lavoro nel riproporre la discografia dei Pink Floyd, con una masterizzazione digitale che conferisce al suono un carattere un filo più in linea con le produzioni moderne, senza però snaturarne l’essenza. Chiaramente gli LP originali sono qualitativamente superiori, in quanto più fedeli al suono tipico degli anni 60/70. Ottimo il packaging con booklet creato dall’art director Storm Thorgerson. 

 

Clicca qui per vedere il prezzo

 

 

Vuoi saperne di più? Scrivici!

0 COMMENTI