Album dei Pink Floyd – Ummagumma – Recensione

Ultimo aggiornamento: 25.04.24

 

Principale vantaggio

Il quarto disco dei Pink Floyd, in cui ormai David Gilmour ha sostituito completamente Syd Barrett, con il quale purtroppo la band non riesce più a lavorare a causa della sua dipendenza dalle droghe e per il carattere sempre più difficile dell’artista. Cosa succede con Ummagumma? La band si allontana completamente dal rock per provare la strada della psichedelia totale, sfociando nella sperimentazione e nella musica classica. Il risultato è un disco di grande atmosfera, un vero e proprio viaggio dal quale è praticamente impossibile estrapolare una singola traccia, perché sarebbe fuori contesto. 

 

Principale svantaggio

Nonostante sia indubbiamente un prodotto di alto livello sul versante prettamente compositivo e musicale, Ummagumma può risultare un vano esercizio di stile. Non a caso persino i membri della stessa band con il senno di poi lo hanno quasi ripudiato, mentre la critica da una parte lo ha apprezzato, dall’altra si è trovata davanti ad un disco che effettivamente aveva poco da comunicare se non mostrare l’abilità dei musicisti nel saper sfruttare una vasta gamma di suoni. 

 

Verdetto: 9.4/10

Non proprio il disco più riuscito della discografia dei Pink Floyd. Insieme ad Animals, Ummagumma viene spesso ignorato a favore di dischi ben più riusciti. Se volete completare la discografia dei Pink Floyd non può chiaramente mancare, ma aspettatevi di trovarvi davanti un’opera diversa, nella quale le atmosfere più marcatamente floydiane arrivano solo verso i minuti conclusivi. Un album forse un po’ troppo ‘cervellotico’ che mostra il fianco a una certa voglia dei giovani Pink Floyd di voler a tutti i costi mostrare la loro abilità. Il nostro verdetto è comunque positivo, perché ci troviamo di fronte a della musica di qualità, sebbene riteniamo che nella loro discografia ci siano lavori di gran lunga superiori. 

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DESCRIZIONE CARATTERISTICHE PRINCIPALI

 

Pura sperimentazione

Nel 1969 i Pink Floyd erano reduci della loro prima esperienza nel mondo del cinema, in quanto furono incaricati di scrivere la colonna sonora per il film More – Di più, ancora di più di Barbet Schroeder. La band si discosta completamente dalla psichedelia mista al rock classico degli esordi con Barrett, per dare spazio alla sperimentazione più sfrenata. 

Il metodo compositivo usato è alquanto peculiare: Gilmour, Mason, Waters e Wright composero le tracce separatamente, creando così un disco molto particolare che nel corso del suo minutaggio cambia forma attraverso la musica. In qualche modo Ummagumma è un modo per capire la direzione presa dalla band in quegli anni e che in seguito si evolverà in composizioni più corali ed emotive. 

Un viaggio nella psichedelia

Quando si parla di Ummagumma bisogna pensare ad un lavoro omogeneo, un vero e proprio viaggio musicale dove nessuna traccia può spiccare il volo da sola, in quanto inserita in un contesto ben preciso e in tre diverse suite. Si parte con quella creata dal tastierista Richard Wright, ovvero Sysyphus, dove siamo al limite della musica classica, con sperimentazioni di suoni e un’atmosfera quasi da colonna sonora. 

Con le tracce di Roger Waters invece ci troviamo in un contesto psichedelico, dove veniamo praticamente assaliti da una serie di suoni atti ad emulare il verso degli animali. The Narrow Way di David Gilmour è la suite in tre parti dove gli esercizi di stile lasciano un po’ di spazio alla musica coinvolgente anche per l’ascoltatore. The Grand Vizier’s Garden Party del batterista Nick Mason ha un carattere più ritmico, con percussioni miste a suoni sperimentali. 

Proprio per la divisione delle composizioni, ad Ummagumma manca una certa ‘coralità’, il disco ogni tanto si perde nelle sue stesse sperimentazioni, con una band che quasi sembra voler lasciare fuori l’ascoltatore. 

 

Il remaster

Ummagumma è un disco che come Animals ha i suoi appassionati e i suoi detrattori, quindi diciamo che è uno di quei prodotti da amare o odiare, senza mezzi termini. Ciò non toglie che sia un disco dove la classe dei Pink Floyd risplende, un prodotto interessante specialmente per capire la vena compositiva di ogni membro del quartetto. 

Il remaster di James Guthrie si comporta molto bene, riuscendo a dare un tocco più ‘moderno’ ai suoni e recuperando il lavoro della band senza però snaturarne il sound originale. Da apprezzare anche il packaging digipack, con artwork originale e il nuovo booklet a cura di Storm Thorgerson. Un ottimo modo per completare la vostra collezione con una nuova edizione dell’album dei Pink Floyd.

 

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