Ultimo aggiornamento: 25.01.21

 

Come si scrive una brano? Al netto del talento, c’è una sorta di ricetta da seguire che forse non vi regalerà il successo ma vi semplificherà le cose.

 

Come si scrive una canzone, o meglio, come si scrive una canzone di successo? Diciamo che non è necessario essere grandi musicisti, altrimenti non si spiegherebbe il perché di tante hit che di grande hanno ben poco, pensiamo ai tormentoni estivi oppure a quei brani reggaeton che sono l’uno uguale all’altro.

Qui possiamo fare una prima riflessione su come intendere la musica. Facciamolo secondo i due estremi di una scala dove a un estremo c’è l’arte e all’altro un prodotto di consumo, come quelli che si comprano al supermercato. Abbiamo parlato di due estremi, ma questa non è una dicotomia, non è necessariamente l’una o l’altra, non è bianco o nero, in mezzo c’è dell’altro e ciascun compositore decide dove posizionarsi su questa scala. Poi è chiaro che in gioco ci sono anche fattori quale la bravura, l’abilità.

 

La struttura

Una canzone per essere vincente, deve innanzitutto essere memorizzabile facilmente dell’ascoltatore e a questo scopo strutturare il brano secondo una sequenza collaudata aiuta. Ecco, vedete, lo schema, stiamo già cercando in qualche modo di imbrigliare l’arte ma lo ripetiamo siamo su una scala, ci muoviamo lungo un continuum tra due estremi e voi decidete dove collocarvi.

La struttura tipica di un brano prevede l’intro, anzi può prevedere l’intro perché è più che altro un’opzione, il primo verso, il bridge, il chorus, il secondo verso (ce n’è può essere anche un terzo e così via) e l’outro (opzionale). Adesso smontiamo questa struttura e andiamo a vederla più nel dettaglio.

L’intro, come detto, è opzionale e se si vuole creare un brano d’impatto, diretto fin dalla prima nota se ne può tranquillamente fare a meno. Il verso racconta la storia della canzone, introduce eventualmente dei personaggi. Il bridge non lo troviamo sempre, non è raro che si passi dal verso al chorus direttamente. Il bridge, come dice la parola, ha la funzione di fare “da ponte”, canalizza l’interesse dell’ascoltatore verso il ritornello. Il bridge, di solito, si differenzia per ritmo, anche per tonalità o strumenti usati. Possono essere usati come bridge degli accordi ripetuti come in una sequenza Fa Sol7 Fa Sol7.

Il chorus, ecco, qui si concentra buona parte del successo di una canzone, soprattutto in ambito pop. Pensateci, a un concerto cosa canta principalmente il pubblico? Il ritornello, che appunto, ritorna, si ripete più volte in un brano (e ammettiamolo, a volte si esagera). Nella maggior parte dei casi il ritornello contiene anche il titolo del brano. Un brano di successo commerciale ha la sua forza nel ritornello che deve essere accattivante e facile da ricordare. Il ritornello da solo triana il brano. Verso, bridge ecc. Possono fare schifo ma se il ritornello è vincente, lo sarà l’intera canzone, tanto è il ritornello che l’ascoltatore, soprattutto quello distratto, ricorderà.

Come per l’intro, anche l’outro non è indispensabile ma ha la funzione di non interrompere bruscamente il brano. Aggiungiamo che si può anche riprendere l’intro per concludere la canzone.

 

La pratica

Se vi è capitato di leggere interviste a dei musicisti, può succedere che l’intervistatore chieda loro come avviene il processo compositivo o per dirla in altro modo, viene chiesto se si compone prima la musica o prima le parole (e la melodia).

La risposta non è mai univoca, ciascuno ha il suo sistema senza dimenticare i tanti casi in cui la canzone è scritta a quattro o più mani come spesso accade nelle band. In tutti i casi si parte da una idea, un semplice motivetto che comincia a girare in testa dal nulla (attenzione perché il rischio che sia di un brano già esistente c’è), magari mentre si è in auto o in una sala d’attesa.

C’è l’idea, c’è l’input ma poi bisogna lavorarci sopra, magari con il sequencer più venduto, ma bisogna essere consapevoli che il risultato finale potrebbe fare schifo e non convincere abbastanza da ritenere di incidere il pezzo su un eventuale disco. Non avete idea di quanti brani vengono scartati.

Se una band o un solista pubblica un album di dieci pezzi, è probabile che altrettanti composti siano stati cestinati o lasciati nel cassetto in attesa dell’ispirazione giusta per tornare a lavorarci sopra e migliorarli. Ecco, questo può essere un consiglio: non buttae via mai nulla, quel brano che oggi fa schifo potrebbe essere ripreso anche dopo 10 anni e diventare un buon pezzo.

Gli accordi sono la struttura armonica che regge il brano. Per un pezzo pop ne possono bastare tre. Qui lo scopo è creare una progressione di accordi. Immaginiamo un pezzo scritto in scala di Do con la seguente struttura: Do, Fa, Sol che si trovano sul I, IV e V grado, questa rappresenta la progressione. La progressione resta invariata anche se si cambia la tonalità ma cambiano gli accordi.

Alcune progressioni sono più efficaci di altre tanto è vero che caratterizzano molti pezzi di successo. Vale come esempio per tutte quella I,V,vi,IV. Avrete notato che abbiamo scritto “vi” in terza posizione, questo perché si tratta di un accordo minore. In sostanza che cos’è la progressione? Uno schema, in pratica siamo tornati sul discorso fatto all’inizio.

Avete la melodia e gli accordi ma questa manca ancora di personalità, è qualcosa di ancora indefinito. Come volete che suoni la melodia? Pop, rock? Che sentimenti volete trasmettere? Rabbia, tristezza, felicità? E soprattutto quali strumenti per l’esecuzione? L’arrangiamento cambia le caratteristiche di un brano, lo può stravolgere e gli esempi sono evidenti soprattutto in quelle cover degne di essere definite tali, ovvero, non la semplice riproposizione di un pezzo ma la sua trasformazione, come quando una hit pop viene suonata in versione metal oppure jazz con modifiche dell’armonia, della melodia, del ritmo, della strumentazione oltre che dello stile.

 

 

 

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