Pink Floyd – Meddle – Recensione

Ultimo aggiornamento: 25.04.24

 

Principale vantaggio

Il disco Meddle (conosciuto anche come Echoes) continua il discorso progressive\psichedelico del precedente Atom Heart Mother che vede David Gilmour, Roger Waters e Richard Wright in grandissima forma sia compositiva sia esecutiva. Basta l’opener One of These Days con il suo incedere del basso, le atmosfere dei synth e i bending della chitarra a mettere le cose in chiaro. 

Meddle è un disco che potremmo definire caleidoscopico, in quanto dopo il rock psichedelico della prima traccia si passa a brani più rilassati come A Pillow of Winds e Fearless, seguendo con il delta blues di Seamus e la fantastica suite finale Echoes.  

 

Principale svantaggio

Questa edizione non si presenta proprio bene a livello di packaging, cosa che spesso succede con alcune ristampe di album storici sui quali si tende a risparmiare. Non si tratta di un digipack o di una confezione rigida, bensì di un cartonato poco resistente nel quale oltre al disco troverete anche un libretto con i testi. Visto il prezzo non ci si può lamentare più di tanto, però per gruppi come i Pink Floyd è lecito aspettarsi un trattamento migliore.

 

Verdetto: 9.8/10

Echoes è un disco molto particolare che contiene una serie di tracce decisamente diverse tra loro. Ancora in transizione dal periodo prettamente progressive a quello più ‘accessibile’, i Pink Floyd stupiscono alternando momenti di tensione, brani quasi onirici e blues che sembrano presi direttamente dal repertorio di Robert Johnson. Come sul precedente Atom Heart Mother, anche qui si viaggia sulle note di una splendida Suite, il tutto contornato da un suono caldo e naturale. 

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DESCRIZIONE CARATTERISTICHE PRINCIPALI 

 

Un’opera caleidoscopica

Meddle è uno dei dischi più amati dagli appassionati della band britannica, ma che allo stesso tempo spesso viene messo in ombra da Atom Heart Mother, considerato il vero capolavoro dei Pink Floyd dai fan più affezionati alla loro fase prettamente prog\psichedelica. Echoes riprende un po’ il discorso del suo predecessore, con tracce ancora più variegate e una conclusione affidata all’omonima suite. 

Si parte con la traccia One of These Days, con una linea di basso ‘aggressiva’ seguita a ruota dalla chitarra di Gilmour che come al solito si esprime sui massimi livelli (e lo farà su tutto il resto del disco). Dopo questa opener decisamente movimentata, il disco si poggia su ritmi più leggeri come A Pillow of Winds e Fearless (che include il coro della tifoseria del Liverpool), dove la chitarra culla l’ascoltatore. San Tropez, come si evince dal nome è un brano con atmosfere quasi caraibiche, le quali sonorità verranno poi riprese in alcuni dischi solisti di Gilmour come On a Island. La traccia Seamus invece è un puro delta blues che riprende le sonorità del Mississippi, un gradito ‘antipasto’ prima della suite Echoes che va a chiudere il disco. 

Questa suite parte rilassata, con la voce calda e tranquilla di Gilmour che accompagna il tipico incedere floydiano, per poi passare ad un ritmo coinvolgente creato da un organo e da un groove di batteria irresistibile, sul quale ancora una volta la chitarra è assoluta protagonista. L’intermezzo strumentale raggiunge alte vette di psichedelia sonora, per poi concludere con un crescendo e un ritorno al tema iniziale. 

Il suono avvolgente

Meddle ha avuto una produzione non proprio fluida, in quanto, a differenza di altri album dei Pink Floyd, non è stato creato con delle idee ben precise e un tema sul quale costruire il disco. Questo ha portato ad un rallentamento delle registrazioni, dovuto a delle sperimentazioni della band che non diedero alcun frutto a livello compositivo. Meddle infatti fu completato in un periodo di tempo abbastanza prolungato tra una traccia e l’altra, motivo per il quale le composizioni suonano così variegate tra di loro. Ad ogni modo dopo un lungo lavoro, il disco fu portato a termine e alla sua uscita ebbe un notevole successo in patria, ma non sfondò negli Stati Uniti. 

 

Il concetto e il packaging

La copertina del disco non è altro che un ingrandimento di un orecchio sott’acqua e fu studiata a tavolino dagli stessi Pink Floyd con l’aiuto del loro art director Storm Thorgerson. Questo però non si dimostrò particolarmente soddisfatto del risultato finale ed in effetti non possiamo dire che si tratti della copertina più bella del gruppo. Per quanto riguarda il packaging, quello di questa edizione lascia molto a desiderare: un cartonato poco resistente nel quale è contenuto solo il libretto con i testi dei brani. 

 

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