Ultimo aggiornamento: 25.04.24

 

Principale vantaggio

La riedizione in vinile di un disco leggendario che ha segnato la storia del rock. Il terzo lavoro in studio dei Led Zeppelin è un disco dalle due facce, quelle di una band ammaliata dalle sonorità rock più dure (per i tempi) e dal folk\blues di stampo statunitense. Questi due volti sono divisi sui lati del vinile, componendo nell’insieme l’album dei Led Zeppelin che più riassume l’essenza della band, sfociata in seguito in contenuti più vicini al progressive. Questi sono i Led Zeppelin più selvaggi, dove la chitarra di Jimmy Page e la voce di Plant creano un sound viscerale ed infiammato, mentre la sezione ritmica da torcicollo vi farà muovere la testa senza sosta. 

 

Principale svantaggio

Come già accennato, il lato A del disco è quello prettamente rock, mentre sul B si trovano brani folk\blues. Se non conoscete i Led Zeppelin, di conseguenza non sarete familiari con la loro anima più acustica, cosa che potrebbe spiazzarvi se cercate un disco rock dall’inizio alla fine. Ovviamente questo non è propriamente un difetto dell’opera, ma è bene chiarire che III è un lavoro diviso in due parti, del quale alcuni ascoltatori sono rimasti parzialmente delusi. 

 

Verdetto: 9.8/10

Caratterizzato da un dualismo affascinante, III dei Led Zeppelin è uno degli album che più hanno influenzato i gruppi rock, hard rock e metal a venire, sia per le composizioni di stampo prettamente rock, sia per quelle acustiche. In generale pensiamo sia un disco da avere e che non può mancare nella vostra collezione di vinili. Questa edizione Deluxe in particolare, presenta due LP e due CD rimasterizzati, contenuti in un cofanetto bellissimo da vedere che si adatta anche ad un regalo, sebbene il prezzo abbastanza alto non ci permette di dargli un punteggio pieno.  

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DESCRIZIONE CARATTERISTICHE PRINCIPALI

 

Il disco ‘anima’ dei Led Zeppelin

Le band rock negli anni ‘70 erano solite condurre una carriera votata all’attività live, spesso componendo dischi tra un tour e l’altro. I Led Zeppelin abbracciavano questo stile di vita con grande entusiasmo, non a caso le prime tracce del loro terzo lavoro in studio furono abbozzate da Robert Plant e Jimmy Page, durante uno dei pochi periodi di pausa della band dai concerti. In quello stesso periodo, i Led Zeppelin partecipano al Festival di Bath, esibendosi in una performance memorabile che gli valse il riconoscimento in patria, così come negli Stati Uniti dove la band era già ampiamente conosciuta. Scesi dal palco, sempre quell’estate i Led Zeppelin si fiondarono in studio per registrare le tracce di III, tra le quali anche Immigrant Song già proposta nei vari concerti dal vivo.

Nonostante l’album adesso venga considerato un capolavoro, all’epoca venne stroncato dai critici che si aspettavano un ritorno in grande spolvero dell’hard rock presentato in Led Zeppelin II. Il lato B dedicato al folk e al blues acustico non convinse e la band, delusa dalle recensioni negative, decise di mettersi subito al lavoro per realizzare il quarto disco. 

Le tracce

Ma perché i critici dell’epoca furono così severi con questo disco? Si potrebbe dire che III rappresenti i due volti dei Led Zeppelin, una band di musicisti amanti della musica che si sono sempre destreggiati nei loro generi preferiti. Se II presenta un lato A carico di rock scatenato, sul lato B del vinile (dalla traccia 6 in poi sul CD) troviamo composizioni prettamente folk che sottolineano la passione per le sonorità più rilassate e atmosferiche del gruppo. 

Di certo brani come Immigrant Song e Celebration Day mettono subito le cose in chiaro: i Led Zeppelin sono i signori del blues distorto capace di far scatenare le masse. Si passa a Since I’ve Been Loving You, un lento blues composto dalle classiche dodici barre e in seguito alle rilassate Gallows Pole, Tangerine e That’s The Way. 

Al termine del disco troviamo l’ottimo brano Hats Off to (Roy) Harper, un blues tradizionale con la slide guitar in puro stile Mississippi. Le tracce rock su questo disco sono stati cavalli di battaglia della band nei loro live, ma effettivamente il lato folk dell’opera, seppur contenente composizioni di alto livello, risulta un filo meno memorabile. 

 

L’edizione deluxe

Concludiamo la nostra recensione scrivendo di questa edizione Deluxe con doppio CD e vinile, sui quali è stato fatto un ottimo lavoro di rimasterizzazione. Il suono del vinile in particolare soddisfa pienamente, con un sound più moderno e pieno che però non snatura l’essenza dei suoni tipici della band e del rock degli anni ‘70 in generale. L’unico neo sta nel prezzo davvero troppo alto che neanche la presenza del libro e dei memorabilia può giustificare. 

 

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Ultimo aggiornamento: 25.04.24

 

Principale vantaggio

Questa edizione del 2014 presenta una rimasterizzazione effettuata dallo stesso Jimmy Page e una confezione curata nei minimi dettagli. Il box contiene uno stupendo libro rilegato dove potrete trovare foto e ritagli di giornale inerenti ai Led Zeppelin e agli anni ‘70, una vera chicca se amate il vintage. La confezione include l’album su due vinili e due CD, rispettivamente con il remaster di Page e con le versioni alternative dei brani. Se amate questo album dei Led Zeppelin e siete fan sfegatati della band, non potete davvero lasciarvelo scappare. 

 

Principale svantaggio

Il prezzo di vendita di questa edizione di Houses of The Holy non è proprio conveniente, in quanto si tratta di un articolo dedicato agli appassionati del rock e del quartetto inglese. Effettivamente il disco viene spesso lasciato ai margini della discografia degli Zeppelin, in quanto segna l’allontanamento dal rock per esplorare altre sonorità, spesso prese in prestito dal prog rock britannico e a volte da generi come il funk. 

 

Verdetto: 9.7/10

Houses of the Holy è un disco molto particolare dove si ascoltano dei Led Zeppelin decisamente diversi dagli esordi. La band ha sempre amato variare nello stile, spesso includendo brani acustici all’interno dei primi dischi prettamente rock. In questo caso i suoni e distorsioni più leggere fanno da padrone, con un Jimmy Page ispirato dal prog rock e dalla psichedelia, così come da generi ‘estranei’ alla band. 

Houses of the Holy magari non è entrato nella leggenda come altri album dei Led Zeppelin, ma rimane un disco validissimo da avere nella vostra collezione. Se amate questa band, probabilmente sarete disposti a spendere la considerevole cifra per fare vostra questa spettacolare edizione speciale.

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DESCRIZIONE CARATTERISTICHE PRINCIPALI

 

Un’opera alternativa

Prima di analizzare il contenuto dell’edizione speciale, vediamo che tipo di album è The Houses of the Holy. Probabilmente i fan a questo punto avranno già cliccato sul link del negozio online per acquistare il prodotto, ma se conoscete i Led Zeppelin solo per i loro dischi ‘numerati’ allora dovete sapere che questo disco è decisamente diverso. Qui Plant, Page, Bonham e Jones cambiano pelle, allontanandosi dal rock scatenato degli esordi per virare su distorsioni più leggere e composizioni acustiche, seguendo la scia di brani come The Battle for Evermore e Stairway To Heaven contenuti nel precedente IV. 

Il risultato è un disco più rilassato e atmosferico, con tinte decisamente progressive che vanno a riprendere le sonorità di alcune band della scena di Canterbury. All’interno del disco si trovano anche composizioni che vanno completamente fuori dallo stile dei Led Zeppelin, parliamo del reggae di D’yer Ma’ker (la pronuncia di ‘Jamaica’ in dialetto cockney) e del funk alla James Brown di The Crunge. 

La produzione

Il carattere caleidoscopico di Houses of The Holy spiazzò la critica e i fan della band, ma d’altronde questo album è più una raccolta di brani e idee, piuttosto che un lavoro studiato a tavolino. Venne rivalutato nel corso degli anni, e recentemente grazie anche al remaster curato da Jimmy Page che troviamo in questa questa edizione del disco. 

Si tratta di un remaster decisamente riuscito, dove il chitarrista è riuscito a modernizzare i suoni della chitarra acustica e delle lievi distorsioni senza snaturarli troppo. In alcuni casi troviamo un suono forse un po’ troppo contemporaneo che si avvicina più agli anni ‘80/’90 piuttosto che all’epoca di produzione del disco originale, ma tutto sommato si tratta di un lavoro eseguito in modo egregio e che se vogliamo valorizza i suoni, specialmente nelle composizioni prog rock. 

 

La confezione

Veniamo ora al fiore all’occhiello di questa edizione di Houses of The Holy che si presenta in un box ricco di contenuti. Sono inclusi ben due vinili e due CD, sui quali troverete la versione del disco rimasterizzata da Page e quella con le tracce alternative, tutti con la splendida copertina del disco realizzata dallo studio Hipgnosis, famoso per gli artwork dei Pink Floyd curati da Storm Thorgerson. 

La vera chicca però è il libro da 80 pagine che contiene ritagli del giornale inerenti alla band e al rock degli anni 70, unito con fotografie inedite. Il risvolto della medaglia è per forza di cose il prezzo molto elevato dell’edizione che infatti vi possiamo consigliare solo se siete appassionati dei Led Zeppelin e avidi collezionisti di musica. 

 

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Ultimo aggiornamento: 25.04.24

 

Uno dei brani più movimentati e allegri dei Queen che mette subito il buonumore, infondendo una grande carica. Qui di seguito trovate il testo di Don’t Stop Me Now e qualche interessante curiosità. 

 

Tonight I’m gonna have myself a real good time

I feel alive and the world I’ll turn it inside out – yeah

And floating around in ecstasy

So don’t stop me now don’t stop me

‘Cause I’m having a good time having a good time

I’m a shooting star leaping through the sky

Like a tiger defying the laws of gravity

I’m a racing car passing by like Lady Godiva

I’m gonna go go goThere’s no stopping me

I’m burnin’ through the sky yeah

Two hundred degrees

That’s why they call me Mister Fahrenheit

I’m trav’ling at the speed of light

I wanna make a supersonic man out of you

Don’t stop me now I’m having such a good time

I’m having a ball

Don’t stop me now

If you wanna have a good time just give me a call

Don’t stop me now (‘Cause I’m having a good time)

Don’t stop me now (Yes I’m havin’ a good time)

I don’t want to stop at all

Yeah, I’m a rocket ship on my way to Mars

On a collision course

I am a satellite I’m out of control

I am a sex machine ready to reloadLike an atom bomb about to

Oh oh oh oh oh explode

I’m burnin’ through the sky yeah

Two hundred degrees

That’s why they call me Mister Fahrenheit

I’m trav’ling at the speed of light

I wanna make a supersonic woman of you

Don’t stop me don’t stop me

Don’t stop me hey hey hey

Don’t stop me don’t stop me

Ooh ooh ooh, I like it

Don’t stop me don’t stop me

Have a good time good time

Don’t stop me don’t stop me ah

Oh yeah

Alright

Oh, I’m burnin’ through the sky yeah

Two hundred degrees

That’s why they call me Mister Fahrenheit

I’m trav’ling at the speed of light

I wanna make a supersonic man out of you

Don’t stop me now I’m having such a good time

I’m having a ball

Don’t stop me now

If you wanna have a good time (wooh)

Just give me a call (alright)

Don’t stop me now (’cause I’m having a good time – yeah yeah)

Don’t stop me now (yes I’m havin’ a good time)

I don’t want to stop at all

La da da da daah
Da da da haa
Ha da da ha ha haaa
Ha da daa ha da da aaa
Ooh ooh ooh

Contenuta nell’album dei Queen Jazz uscito nel 1978, Don’t Stop Me Now è una delle canzoni più movimentate della band, dove Freddie Mercury si scatena in un testo decisamente liberatorio. Il brano è stato scritto proprio dal frontman della band e pubblicato anche come singolo nel 1979. 

La canzone è un ottimo connubio tra il rock’n’roll di stampo più classico e il pop, con un accompagnamento ritmico gestito dal basso di John Deacon e dalla batteria di Roger Taylor, sul quale si snodano note di pianoforte e la voce magnetica di Freddie Mercury. Non mancano le armonizzazioni vocali tipiche dei Queen, registrate su più tracce per il ritornello. Don’t Stop Me Now dei Queen è probabilmente uno dei brani più conosciuti in assoluto, nonché tra i più utilizzati in film, serie TV e pubblicità. Il motivo è da ricercare proprio nella struttura immediata del brano, costituito da una forma canzone facilmente memorizzabile, ma non banale. 

Il testo è un inno alla libertà, Freddie Mercury si vuole scatenare e magari vivere apertamente la sua omosessualità, dichiarata nel 1976. Una vera e propria celebrazione dell’edonismo e della gioia di vivere senza alcun limite che in realtà risuona con qualsiasi tipo di persona. Tutti d’altronde possiamo passare dei momenti nei quali desideriamo ardentemente fare ciò che più ci piace, senza che nessuno possa fermarci. Forse Mercury nel testo si rivolge proprio alla band, infatti ogni tanto Brian May, Roger Taylor e John Deacon cercavano un po’ di frenarlo, magari per evitare che facesse qualche ‘mattata’ negli incontri importanti della band. Lo stesso Brian May ammise di non gradire particolarmente ne la canzone ne il testo, perché esaltava troppo l’edonismo esagerato di Freddie Mercury, con il quale non si era mai trovato proprio a suo agio. 

I brani di Jazz dei Queen sono molto variegati, basta pensare a Fat Bottomed Girls, una sorta di brano southern rock che sembra uscito dritto da un disco degli Allman Brothers. Anche il brano Bicycle Race dal carattere quasi ‘progressive’ si rivela un allegro esperimento di Mercury, molto complesso, ma allo stesso tempo orecchiabile. Fun it vede invece lo zampino di Taylor che oltre alla batteria diventa cantante su questo brano funk che anticipa la più famosa Another One Bites The Dust scritta da Deacon. 

All’uscita Jazz incontrò pareri positivi e negativi da parte della critica e del pubblico, alcuni infatti lo ritennero quasi ‘commerciale’, un lavoro poco ispirato e addirittura monotono. Chiaramente alla fine degli anni ‘70 la scena musicale inglese era piena di band che si cimentavano in diversi generi, alcuni ancora in procinto di ‘nascere’ come l’heavy metal. Non sorprende quindi che Jazz sia stato rivalutato più positivamente nel corso degli anni (anche perché la musica ‘commerciale’ è decisamente peggiorata) e tuttora rimane uno dei dischi più piacevoli dei Queen.

 

 

Ultimo aggiornamento: 25.04.24

 

Analizziamo il testo di Wish You Were Here per scoprirne il significato dei uno dei brani più famosi ed emozionanti dei Pink Floyd.

 

So, so you think you can tell Heaven from Hell,

Blue skies from pain.

Can you tell a green field from a cold steel rail?

A smile from a veil?

Do you think you can tell?

And did they get you trade your heroes for ghosts?

Hot ashes for trees? Hot air for a cool breeze?

Cold comfort for change? And did you exchange

A walk on part in the war for a lead role in a cage?

How I wish, how I wish you were here.

We’re just two lost souls swimming in a fish bowl,

Year after year,

Running over the same old ground. What have we found?

The same old fears,

Wish you were here.

La ‘title track’ del disco Wish You Were Here dei Pink Floyd uscito nel 1975 dopo l’enorme successo di The Dark Side of The Moon. La traccia (come probabilmente l’intero disco) è dedicata a Syd Barrett, chitarrista della formazione originale dei Floyd, sostituito in seguito da David Gilmour. Fu lo stesso David Gilmour a proporre il giro di accordi di Wish You Were Here a Roger Waters che lo apprezzò immediatamente e decise di lavorarci sopra. La traduzione di Wish You Were Here dall’inglese all’italiano  è ‘vorrei che tu fossi qui’. 

Il brano è caratterizzato da da un incedere rilassato, tipico dei brani di Gilmour, uno stile che in seguito il chitarrista ha ripreso anche nei suoi ottimi dischi da solista, dove non disdegna le influenze jazz. Wish You Were Here si apre con un riff portante realizzato con singole note della pentatonica blues alla quale seguono degli accordi in ‘strumming’. L’assolo anch’esso realizzato con la pentatonica ha il tipico sound blues, molto amato da Gilmour e ampiamente usato nella scena rock britannica. Dall’introduzione blues si passa alla strofa rock, con accordi melanconici ma accompagnati da un ritmo sostenuto e da lick di chitarra e pianoforte. Si riprende la parte iniziale per poi passare all’ormai famosissimo ritornello. Un brano diretto, ma dove si respira la grande classe e genio compositivo della band inglese.

Il tema portante è la lontananza dalle persone che un tempo sono state amiche e che magari pur vivendo nei paraggi non si riescono più a contattare, oppure può essere letto come un invito a lasciar perdere le proprie ambizioni personali, perché alla fine le cose non cambiano e sotto sotto siamo tutti soli e tristi, quindi l’importante è avere qualcuno accanto. 

I Pink Floyd narrano una condizione umana spesso tipica delle città, dove ci si perde di vista perché si prendono strade diverse nella vita. La copertina del disco è emblematica: due uomini si stringono la mano, ma uno dei due va a fuoco, un’immagine che potrebbe proprio rappresentare la separazione della band da Syd Barrett, o magari semplicemente la paura di dichiarare i propri sentimenti al prossimo per paura di rimanere ‘scottati’. Barrett infatti aveva cominciato a mostrare i primi segni di squilibrio immediatamente dopo la pubblicazione dell’album dei Pink Floyd The Piper at The Gates of Dawn che segnò anche il loro esordio. 

Su Wish You Were Here troviamo anche un’altra traccia dedicata a Syd Barrett, ovvero Shine on you Crazy Diamond dove la band ricorda il musicista quando era un giovane genio e lo invita a tornare a splendere come un tempo.

 

 

Ultimo aggiornamento: 25.04.24

 

Uno dei brani più famosi della produzione musicale del quartetto di Liverpool, Let it Be è una canzone di speranza scritta da Paul McCartney. 

 

When I find myself in times of trouble, Mother Mary comes to me

Speaking words of wisdom, let it be

And in my hour of darkness she is standing right in front of me

Speaking words of wisdom, let it be

Let it be, let it be, let it be, let it be

Whisper words of wisdom, let it be

And when the broken hearted people living in the world agree

There will be an answer, let it be

For though they may be parted, there is still a chance that they will see

There will be an answer, let it be

Let it be, let it be, let it be, let it be

There will be an answer, let it be

Let it be, let it be, let it be, let it be

Whisper words of wisdom, let it be

Let it be, let it be, let it be, let it be

Whisper words of wisdom, let it be, be

And when the night is cloudy there is still a light that shines on me

Shinin’ until tomorrow, let it be

I wake up to the sound of music, Mother Mary comes to me

Speaking words of wisdom, let it be

And let it be, let it be, let it be, let it be

Whisper words of wisdom, let it be

And let it be, let it be, let it be, let it be

Whisper words of wisdom, let it be

Let it be è uno degli album dei Beatles più amati dagli appassionati che segna un momento particolarmente difficile per la band che si scioglierà proprio nell’anno di uscita dell’omonimo singolo. I momenti di tensione all’interno della formazione erano all’ordine del giorno, con John Lennon che si mostrava già molto stanco del lavoro compositivo e che era continuamente accompagnato dalla moglie Yoko Ono, anche in studio. Gli altri membri della band non gradivano troppo questa presenza esterna alla band, almeno non nei momenti dove si lavorava su un nuovo brano o si prendevano decisioni importanti. Allo stesso modo, il chitarrista George Harrison si sentiva tagliato fuori dalla composizione dei brani, spesso affidata al duo Lennon-McCartney e voleva prendersi un po’ di spazio in più. La tensione accumulata in sala prove e in studio si riversava anche sul batterista Ringo Starr e ovviamente sugli stessi Lennon e McCartney che cominciavano a sentire le fondamenta dei Beatles. sgretolarsi lentamente.

Quando quattro menti unite cominciano a formare pensieri individuali troppo marcati per la composizione dei brani e la gestione della band, solitamente i campanelli di allarme cominciano a suonare. I Beatles alla fine degli anni ‘60 erano all’apice del loro successo, ma nessuno sembrava voler mettersi al lavoro per scrivere un nuovo disco, per questo McCartney prese le redini del progetto e cominciò a scrivere la maggior parte delle canzoni. Gli altri membri, seppur poco motivati, non gradirono questa scelta o perlomeno la usarono come pretesto per far crescere ulteriori tensioni all’interno della band. 

Le cose sarebbero finite da lì a poco, Paul McCartney dichiarerà in seguito che la situazione interna della band era diventata insopportabile e che era un grosso problema emotivo per lui. D’altronde sotto il rock, le chitarre e il divertimento, la musica a livello professionale è comunque un lavoro e un lavoro prevede un certo ammontare di stress e di responsabilità. 

Fu così che nacque Let it Be, un brano dove ci si augura di poter andare avanti e di trovare finalmente una risposta nei momenti più difficili. Il testo di Let it Be è quasi una preghiera ed infatti John Lennon lo definì tale, arrivando a detestarlo. Il motivo era anche lo stile della composizione che il chitarrista trovò decisamente banale, troppo simile ad un brano da chiesa e poco incisivo. 

Nonostante questo Let it be fu un successo, probabilmente proprio per la sua semplicità e sincerità. Nel testo troviamo la figura di Mother Mary (Madre Maria), in quanto Paul McCartney aveva sognato sua madre Mary, morta di cancro quando il musicista aveva 14 anni. Fu proprio il sogno a ispirarlo, in quanto proprio la madre gli consigliava di lasciar correre (la traduzione di let it be in italiano) e che tutto si sarebbe risolto. La traduzione di wisdom invece è saggezza. Potete trovare la versione italiana di Let it Be usando il traduttore ing ita e inserendo il testo della canzone.

 

 

Ultimo aggiornamento: 25.04.24

 

La rivista musicale più famosa al mondo, Rolling Stones propone la sua personale classifica di canzoni più belle mai realizzate. Vediamo quali sono.

 

Ray Charles ‘What’d I Say’

Il leggendario pianista soul e blues Ray Charles ha scritto delle vere e proprie pietre miliari della musica, nonché una tra le canzoni più belle di sempre: What’d I Say. Un veloce rock’n’roll con progressione tipica del blues, fu ideata durante un’improvvisazione dal vivo, come spesso succedeva nei concerti rock e blues degli anni ‘50. Ray Charles completò il suo repertorio e così decise di improvvisare sul basso e sulle note di pianoforte. La creazione di questo brano prova che Ray Charles era davvero un genio della musica. Nella registrazione finale fu incluso un coro molto simile ad un gospel, aggiungendo però una parte provocante con dei versi simili a quelli di un amplesso.

 

Nirvana ‘Smells Like Teen Spirits’

Tra le canzoni più ascoltate degli ultimi trent’anni, Smells Like Teen Spirits dei Nirvana è il brano al quale si associa il movimento grunge e tutto il rock degli anni ‘90. Il brano è stata la croce e delizia di Kurt Cobain, in quanto lo ha portato al successo, ma allo stesso tempo lo ha fatto sprofondare in una spirale depressiva che lo ha portato poi a togliersi la vita. Ed è particolare il fatto in questo aggressivo brano, il frontman dei Nirvana si scagli contro le multinazionali e la loro influenza sulle giovani generazioni.  La produzione ‘sporca’ classica dei brani dei Nirvana regna suprema su Smells Like Teen Spirits, con la distorsione delle chitarre fuori controllo e la tecnica strumentale messa praticamente sotto il tappeto (a parte per l’ottima batteria di Dave Grohl) per poter comunicare con più facilità il messaggio e soprattutto mettere i musicisti sullo stesso piano del pubblico. Chi lo sa, forse Kurt Cobain avrebbe preferito rimanere un artista indipendente, piuttosto che venire divorato dal sempre affamato music business. 

Led Zeppelin – Stairway to Heaven 

Contenuta nell’album dei Led Zeppelin IV, Stairway To Heaven è uno dei brani rock più famosi al mondo. Tra le canzoni inglesi dei mitici anni ‘70 ce ne sarebbero da scegliere, anche della stessa band, ma Stairway To Heaven rimane uno dei grandi capisaldi, specialmente per i chitarristi. Una delle prime canzoni ‘complesse’ che gli amanti del rock imparano sullo strumento, al punto che nel film Wayne’s World (Fusi di Testa) con Mike Myers c’è una scena dove in un negozio di strumenti musicali viene vietato ai chitarristi cimentarsi nel brano per impressionare le ragazze. La struttura di Stairway To Heaven attinge appieno dalla scena progressive britannica che negli anni ‘70 influenzava anche le band rock e metal. 

 

The Beatles – Hey Jude

I leggendari Beatles hanno praticamente composto un disco all’anno per tutta la loro carriera, creando alcune tra le canzoni in inglese più conosciute al mondo. Tra le più belle canzoni del quartetto di Liverpool troviamo la famosissima Hey Jude, scritta da Paul McCartney per Jules, il figlio di John Lennon e di Cynthia che stava affrontando il divorzio tra i due. Jules fu modificato in Jude per renderlo più musicale. Probabilmente quando si pensa ai Beatles, Hey Jude è una delle prime canzoni che vengono in mente, specialmente per il bellissimo finale con il coro. 

 

Chuck Berry – Johnny B.Goode

I chitarristi conoscono molto bene questo brano, in quanto è uno dei primi sui quali si cimentano per imparare la pentatonica blues. Non proprio una sfida facile, in quanto il groove di Chuck Berry su questo brano rock n’ roll è tutto fuorché semplice. Gli appassionati di cinema cresciuti negli anni ‘80 e ‘90 se lo ricorderanno per la reinterpretazione di Marty McFly in Ritorno al Futuro. Il fraseggio di chitarra iniziale è entrato nella storia, così come il cantato di Chuck Berry che interpreta il suo testo autobiografico: un giovane che arriva nella città di St.Louis per sfondare con il rock e il blues. 

Aretha Franklin – Respect

Tra le canzoni più ascoltate degli ultimi decenni troviamo Respect, un energetico brano della regina del soul Aretha Franklin. Un’esecuzione a dir poco vulcanica che fa ribollire il sangue nelle vene, con un testo decisamente chiaro: rispetto per le donne e la lotta per ottenerlo. Considerando che il brano è del 1965, possiamo ritenerlo decisamente ‘avanti’ come concetto, visto che in quei tempi le donne vivevano ancora sotto lo schiaffo del sesso maschile. Ancora oggi Respect è un brano attuale, con un ritmo incalzante e la voce della Franklin che si alza con il suo coro nel ritornello. La canzone è stata poi ripresa nel film Blues Brothers, in una parte che vede protagonista proprio la cantante soul. 

 

John Lennon – Imagine

Per molti, Imagine di John Lennon è la canzone più bella del mondo e in effetti almeno per il pop rock questo brano è sicuramente uno dei più conosciuti. Imagine è quasi un inno, composto sfruttando una progressione di accordi calma e melodica. Un brano intriso di grande positività, nel quale John Lennon immagina un mondo senza corruzione, guerre e violenza, dove i popoli sono finalmente riuniti in amore e fratellanza. Di certo le cose non sono andate proprio bene come Lennon e la moglie Yoko Ono si erano immaginati, ma resta il fatto che Imagine è una bellissima canzone che può ispirare a fare di meglio ogni giorno della nostra vita. 

Bob Dylan – Like a Rolling Stone

Nella Top Ten di musica stilata dalla rivista Rolling Stone, la prima classificata è… Like a Rolling Stone di Bob Dylan. Il brano registrato a giugno del 1965 è stato suonato senza alcuno spartito, quindi nato quasi come un improvvisazione, nel totale rispetto della visione musicale ‘ribelle’ di Bob Dylan. Una delle canzoni sulla vita che hanno rivoluzionato il rock e il pop, contribuendo a creare il genere ‘folk rock’ che in seguito ha influenzato anche i gruppi grunge degli anni 90.  Tra tutte le canzoni di Bob Dylan questa è quella che più rappresenta il suo stile unico e inconfondibile. 

 

 

Ultimo aggiornamento: 25.04.24

 

La musica dei Pink Floyd è entrata nella storia, così come i musicisti che l’hanno composta. La band inoltre ci ha regalato bellissime canzoni dedicate all’amore e all’amicizia.

 

L’amore è sempre stato legato alla musica e noi italiani lo sappiamo bene, visto che il 99% delle produzioni italiane in ambito ‘pop’ hanno la parola amore nel titolo e ovviamente nel testo. Sebbene spesso le canzoni d’amore possono sembrare un po’ banali, in quanto le soluzioni liriche e musicali tendono a ripetersi, questo sentimento è stato ispirazione anche di band del calibro dei Pink Floyd. Certo, la band britannica si è sempre voluta distinguere a livello artistico dal pop\rock inglese, cercando il connubio tra il rock psichedelico e il progressive, due generi che difficilmente si orientano su soluzioni semplici.  

Ed in effetti sono davvero poche le canzoni dei Pink Floyd che parlano d’amore, almeno per come vengono intese a livello ‘mainstream’, ovvero con l’interprete che si strugge per un amore perduto. Diciamo che le produzioni più ‘sentimentali’ dei Pink Floyd si concentrano più sull’amicizia. Bisogna ricordare infatti che la band ha vissuto la separazione dal compositore Syd Barrett dovuta ad un crollo psicologico. A Barrett la band ha dedicato diverse canzoni, ma diciamo che in generale hanno sempre preferito scrivere di altro, basta pensare alla canzone Money o Careful with that axe Eugene e anche la bellissima canzone Breathe.

Vediamo quindi quali sono le canzoni d’amore e sull’amicizia che Gilmour, Mason, Wright e Waters hanno scritto.

Wish you were here

Tratto dall’omonimo album dei Pink Floyd, Wish you Were Here può essere considerata una canzone d’amore, sebbene questo sentimento venga menzionato solo nell’ultima strofa. Pink Floyd e canzoni d’amore difficilmente vanno a braccetto, ma la dolcezza della composizione, costruita su un giro di accordi acustici e su brevi assoli passionali può indurre a pensare che si tratti di un brano dedicato a questo sentimento. Questo non è totalmente sbagliato, sebbene in realtà Wish you were here sia stata scritta per Syd Barrett, infatti esprime un sentimento di amicizia nostalgico. Wish you were here è una delle canzoni più celebri dei Pink Floyd, non a caso una miriade di artisti e band ne hanno realizzato delle cover. 

 

The Nile Song

A sentire il brano non si penserebbe mai che si tratti di una canzone d’amore e in effetti non la si può proprio considerare tale. Inserita nella colonna sonora curata dai Pink Floyd del film More di Barbet Schroeder, The Nile Song sembra quasi un brano uscito da una collaborazione tra i Black Sabbath e i King Crimson (sebbene entrambe le band si sono formate proprio nel 1969, anno di uscita del film). L’incedere violento della batteria e le chitarre ultradistorte vengono accompagnate dalla voce aggressiva del solitamente calmo e posato David Gilmour. Il brano narra di uno ‘stalker’ che segue una bellissima donna sulle rive del Nilo ed è stato inoltre oggetto di cover da parte di diversi gruppi heavy metal, come ad esempio i canadesi Voivod (autori anche di una bellissima cover di Astronomy Domine)

Shine on you Crazy Diamond 

Sempre presente in Wish You Were Here, questa canzone è un’altra dedica a Syd Barrett, cosa che dimostra quanto la band abbia sofferto per la separazione e forse ne sia stata anche un po’ frastornata. Dopo la separazione con Barrett e il conseguente ingresso di Gilmour in formazione, i Pink Floyd raggiungono il successo internazionale, probabilmente sentendosi un po’ in ‘colpa’ per l’aver lasciato Barrett indietro. Ma come in tutte le band, difficilmente i fan possono conoscerne le dinamiche interne, quindi non possiamo effettivamente sapere come siano andate davvero le cose. Fatto sta che Shine on You Crazy Diamond è un brano magistrale e una dedica bellissima, sincera e sentita all’amico. 

 

If

Roger Waters probabilmente è il membro dei Pink Floyd che più ha dovuto fare i conti con la separazione da Syd Barrett. A quanto pare infatti fu proprio Waters a dare il benservito a Barrett che dopo il disco The piper at the gates of dawn aveva cominciato a diventare ingestibile. In If infatti Waters canta con voce struggente su un arpeggio di chitarra, chiedendosi come sarebbe stata la sua vita e quella del gruppo se le cose con Barrett fossero andate diversamente. I Pink Floyd nei testi non sono mai stati molto diretti o espliciti, ma in questo caso Barrett vuole essere assolutamente chiaro nel dichiarare il suo senso di colpa. If è un brano sincero e toccante, inserito nel bellissimo disco Atom Heart Mother, considerato da molti il capolavoro prog\psichedelico della band. 

Don’t leave me now

Il disco The Wall è un’opera capace di colpire come un pugno allo stomaco, sia per quanto riguarda il concept sia per la musica. Non è un caso infatti che il disco sia interamente cantato da Roger Waters, molto più caustico e diretto al microfono rispetto al tranquillizzante e avvolgente David Gilmour. Waters si sostituisce come cantante dei Pink Floyd in questo disco che narra la vita di Pink nelle canzoni. Pink è il protagonista del concept che in If implora alla sua amata di non lasciarlo. Basta ascoltare il brano per rendersi conto di non poterlo assolutamente dedicare alla propria amata, in quanto si tratta di una composizione angosciante caratterizzata dalla voce straziante di Waters e da effetti sonori accompagnati da pochi accordi di pianoforte. Nell’ultimo minuto finalmente arriva la batteria e la chitarra, come se il protagonista avesse perso le speranze e sia stato avvolto dalla consapevolezza di dover perdere il suo amore.

 

 

 

Ultimo aggiornamento: 25.04.24

 

Le canzoni per la festa della mamma da dedicare, scelte tra i generi più disparati. Scopriamo quali sono le più belle e particolari.

 

La mamma è sempre la mamma: la persona alla quale la maggior parte delle persone sono più legate e che c’è sempre nei momenti di bisogno. Non importa quanti anni abbiamo, per la mamma rimarremo in parte bambini, nel suo cuore lei ci vede così e farebbe di tutto per il nostro bene. Perché quindi non dedicarle una bella canzone? Lo si può fare in qualsiasi momento, oppure magari per il suo compleanno o la Festa della Mamma. Se la mamma è appassionata di musica, perché non regalarle anche un bel album dei Beatles?

Scopriamo quali sono le canzoni da dedicare alla mamma più belle tra quelle italiane e straniere.

 

2pac – Dear Mama

Quando si parla della mamma, viene difficile immaginare che qualche rapper della West Coast possa dedicarle una canzone. Ma quando si tratta di 2pac non si parla di un artista qualsiasi, ma di uno di quelli che hanno saputo spesso staccarsi dalle classiche ‘gangsta lyrics’ per raccontare storie diverse, mostrando una grande empatia. Il brano contenuto nello splendido disco Me Against The World è un omaggio alla madre Afeni Shakur, dove il rapper narra della vita insieme alla madre e del suo affetto per lei, nonostante entrambi abbiano vissuto momenti difficili. Con questo brano inoltre, 2pac parla della dignità e del coraggio della madre, ex membro delle Pantere Nere. Dear Mama è considerato uno dei brani rap più belli mai scritti, nonché una delle canzoni per la mamma più particolari e interessanti. 

Spice Girls – Mama

Le cinque ragazze del pop inglese degli anni ‘90 avevano sfondato con l’energetico brano Wannabe e sebbene il loro momento di gloria sia molto lontano, le Spice Girls hanno dominato a lungo le classifiche con le loro canzoni dolci e quelle più ritmate. Mama è un brano dedicato alla mamma scritto da Melania Brown, in arte Mel-B. Il testo parla di un rapporto conflittuale con una madre che non lascia la figlia libera durante la sua adolescenza. Crescendo però, la figlia si rende conto di come la madre stesse facendo di tutto per proteggerla dalle insidie di quel difficile periodo della vita. 

 

Andrea Bocelli – Mamma

Il cantante lirico Bocelli sorprende sempre con la sua grande voce. La sua versione della canzone Mamma di Cesare Andrea Bixio è spesso considerata una delle migliori, una dedica per una mamma speciale amante della musica lirica. 

 

Danzig – Mother 

Tra le canzoni dedicate alla mamma ci sono anche quelle un po’ ‘particolari’ come Mother di Glenn Danzig. Il frontman dei Misfits intraprese la carriera solista scrivendo brani memorabili, uno su tutti Mother. L’incedere tra il punk e il metal contorna la voce energetica di Danzig che nel brano consiglia alle madri di tutto il mondo di impedire ai figli di diventare come lui, in modo da non condurre un’esistenza corrotta dalle cattive abitudine. 

Ozzy Osborne – Mama, I’m Coming Home

Il testo del brano fu scritto da Lemmy Kilmister dei Motorhead per Ozzy Osbourne, contenuta nel disco No More Tears pubblicato nel 1991 e uno dei più amati della carriera solista dell’ex cantante dei Black Sabbath. Ballata dove il chitarrista Zakk Wylde aggiunge il suo tocco ‘southern’, mentre la voce di Ozzy narra di un rapporto conflittuale con la madre, ma intriso di nostalgia. Decisamente lontano dallo stile al quale Ozzy aveva abituato gli ascoltatori con i Black Sabbath e con i suoi primi dischi solisti, Mama, I’m coming home strizza l’occhio alle power ballad in stile glam rock, rimanendo comunque un brano molto bello da ascoltare e da dedicare. 

 

Viva la mamma – Edoardo Bennato

Edoardo Bennato ha scritto tantissime canzoni, distinguendosi per il suo stile tra il rock’n’roll e il cantautorato. Uno dei brani più famosi è proprio Viva la Mamma, dedicato a tutte le mamme e anche agli anni ‘50. Per le nuove mamme magari ci vogliono canzoni più moderne, ma la canzone rimane comunque molto bella da dedicare. La musica e il testo di Viva la Mamma vengono pervasi da una certa nostalgia per un tempo ormai passato. 

 

Goodie Mob – Guess Who

Il compianto 2pac Shakur non era l’unico rapper a saper scrivere testi profondi. Bisogna però andare nel profondo sud degli Stati Uniti per trovare altri artisti capaci di dedicare una canzone alla mamma in modo toccante. Parliamo dei Goodie Mob di Atlanta, un gruppo che faceva parte della Dungeon Family, dove militavano anche gli Outkast prima che diventassero ‘mainstream’ e Killer Mike, ritornato sulla scena con i Run the Jewels. In Guess Who gli MC CeeLo Green e Khujo raccontano delle loro rispettive madri, delle loro difficoltà del loro ruolo, incitando l’ascoltatore ad avere rispetto per la propria madre e per le donne in generale. 

Jovanotti – Ciao Mamma

Non tutti i brani dedicati alla mamma sono intrisi di malinconia, alcuni sono molto divertenti e spensierati. Ad esempio, Ciao Mamma di Jovanotti è un brano dal feeling ‘reggae’ dove il cantante descrive un momento di allegria e felicità alla madre, come per rassicurarla sulla sua vita da artista e sulle gioie che può portare. 

 

Sottotono – Amor de mi vida

Il rap italiano è riuscito spesso a trovare una sua identità, mentre altre volte è stato per forza di cose trascinato dalla scuola americana. Il brano Amor de mi vida dei Sottotono è largamente ispirato al sopraccitato Mama di 2pac, senza neanche troppo nasconderlo. Il ‘flow’ di Tormento su questo brano si ispira largamente a quello di Shakur, cosa che all’uscita del brano suscitò qualche perplessità da parte dei fan. Il pezzo rimane comunque molto bello da ascoltare, con un testo decisamente ispirato che lo rende una bella dedica alla mamma

Queen – Bohemian Rhapsody 

Le canzoni d’amore dei Queen sono sempre bellissime. Magari non è proprio una dedica alla mamma, ma Bohemian Rhapsody dei Queen e il suo ‘mama’ pronunciato da Freddie Mercury su quelle note di pianoforte dopo la splendida introduzione, sono entrati nella storia della musica. Nella canzone un ‘fuorilegge’ confessa le sue colpe alla madre, dicendo che non era sua intenzione farla piangere.

 

 

Ultimo aggiornamento: 25.04.24

 

Scopriamo insieme quali sono stati alcuni dei più migliori chitarristi della storia nella nostra breve classifica.    

 

Jimi Hendrix

Quando si pensa alla chitarra elettrica, il primo nome che viene in mente è quello di Jimi Hendrix. Qualcuno potrebbe giustamente dire che tecnicamente non era al livello di altri colleghi, ma il suo tocco unico e il suo stile inimitabile lo rendono un musicista eccezionale, oltre che un compositore di grande gusto. Il suo rock\blues psichedelico è entrato nella storia, con suoni distorti e la sua voce profonda che lo hanno sempre contraddistinto. Jimi Hendrix non suonava la chitarra… la chitarra era un ponte tra il suo spirito e il mondo esterno. 

 

Eddie Van Halen

Recentemente scomparso, Eddie Van Halen è stato uno dei chitarristi più famosi e più amati del hard rock ed heavy metal. Il disco di esordio della sua band Van Halen sembra ancora oggi provenire dallo spazio per la carica, i suoni e le composizioni. Eddie è un funambolo della chitarra, ma i suoi virtuosismi non sono mai fini a loro stessi: ogni nota ha dentro la sua anima vulcanica, anche negli assoli più veloci si sente tutta l’essenza del musicista dietro lo strumento. Con il suo tapping ha aperto la strada a tantissimi altri chitarristi, dando il via al fenomeno dei Guitar Heroes come gli altrettanto bravi Joe Satriani e Steve Vai.

Jimmy Page

I Led Zeppelin sono una band a dir poco leggendaria e il chitarrista Jimmy Page con i suoi riff ha contribuito ad ‘inventare’ un certo modo di suonare la chitarra. Probabilmente ascoltandoli adesso i Led Zeppelin potrebbero non sembrare così innovativi, ma negli anni in cui esordirono non c’erano altre band capaci di interpretare il rock e il blues alla loro maniera. Indurendo i suoni, rendendo più granitici i giri di chitarra e usando distorsioni elevate sugli assoli, il Jimmy fra i grandi del rock ha dato inizio alle sonorità hard rock ed heavy metal. 

 

Stevie Ray Vaughan

Non si sente parlare spesso di Stevie Ray Vaughan, probabilmente perché il blues come genere è stato un po’ dimenticato. Eppure SRV è stato uno dei più grandi chitarristi del genere e forse uno dei suoi ultimi più grandi interpreti. Capace di unire il blues elettrico di Albert King e Muddy Waters con il country di stampo texano, SRV con la sua band Double Trouble ha creato brani memorabili, spesso mettendo in mostra le sue incredibili doti tecniche. Scuttle Buttin’ è il suo marchio di fabbrica, sebbene Stevie Ray Vaughan fosse capace anche di interpretare il blues più lento con un feeling davvero unico.

 

Mark Knopfler

Gli album dei Dire Straits sono considerati dei capolavori del rock, sebbene la band ha dovuto fare spesso i conti con la scena britannica in continuo cambiamento e che si stava distanziando dalle sonorità classiche per spostarsi verso il punk e la new wave. I Dire Straits riuscirono a conquistare i fan grazie alle doti strumentali e compositive della band, specialmente di Mark Knopfler, un musicista dotato di un tocco e di un gusto davvero incredibili. A differenza di altri chitarristi moderni, Knopfler preferisce il finger style, una tecnica molto comune nel jazz e nel gypsy jazz, ma poco usata nel rock. Il risultato sono assoli memorabili dove la tecnica viene messa al servizio della musica. 

Yngwie Malmsteen

Yngwie Malmsteen è uno di quegli artisti per i quali molti fan (e colleghi) provano una sorta di amore\odio. L’amore deriva dalla sua incredibile tecnica strumentale e dal fatto che ha contribuito alla creazione dello stile ‘neoclassico’ per riffing e assoli, in seguito portato avanti da chitarristi come Criss Oliva dei Savatage e Michael Romeo dei Symphony X. L’odio invece è per il suo personaggio, incredibilmente antipatico a detta di molti addetti ai lavori e degli appassionati. A difesa del virtuoso svedese c’è da dire che sullo strumento in quanto a velocità e pulizia ha ben pochi rivali, d’altronde lui stesso si ritiene il miglior chitarrista al mondo vivente.

 

John Petrucci

I Dream Theater sono stati una delle ultime band metal a riscuotere un successo planetario nell’epoca pre-social, quando ancora nessuna sapeva cosa doveva essere Youtube. Sebbene nel corso degli anni abbiano perso un po’ di smalto, perdendosi spesso dietro il virtuosismo sfrenato, i Dream Theater sono riusciti a creare un loro stile personale prendendo spunto dai grandi gruppi progressive della scena britannica, fondendo le complicate composizioni e i tempi con le sonorità metal. Il chitarrista John Petrucci colpisce con la precisione chirurgica con la quale riesce a eseguire riff e assoli, cosa che lo ha portato nell’Olimpo dei chitarristi metal e hard rock. Per molti infatti John Petrucci detiene ancora il titolo di miglior chitarrista heavy metal.

Robert Johnson

Robert Johnson è stato un chitarrista blues, famoso non solo per i suoi pochissimi, ma importantissimi brani incisi, ma anche per la sua incredibile leggenda. Si narra infatti che Johnson fosse un pessimo chitarrista e avesse una voce poco convincente, al punto che nessun locale voleva farlo suonare. Il musicista, deluso dai continui rifiuti, incontrò il Diavolo ad un crocevia nel Mississippi e gli offrì la sua anima in cambio delle abilità sulla chitarra e quelle canore. Che fosse stato un patto con Lucifero in persona o un po’ di sana pratica e allenamento, Johnson diventò un chitarrista incredibile, capace di suonare un blues virtuoso e cantare con grande disinvoltura, creando brani che sono entrati nella storia ed ispirando altri artisti come Jimi Hendrix.

 

Tony Iommi

Non tutti i più grandi chitarristi del mondo sono necessariamente dei virtuosi delle sei corde. Tony Iommi, chitarrista dei Black Sabbath, ne è la dimostrazione. Con i suoi riff granitici tra il metal e il blues, Iommi ha dato inizio al genere Doom Metal e allo Stoner Rock, convincendo le masse anche con i suoi assoli ipnotici. Da lodare anche la sua capacità camaleontica di adattarsi alle nuove sonorità, passando dall’hard rock più esoterico al heavy metal di stampo anni ‘80. Nella nostra classifica dei chitarristi non poteva quindi mancare uno dei padri del genere.

Dimebag Darrell

Darrell Lance Abbott detto ‘Dimebag’ è stato il chitarrista dei Pantera, band glam metal in seguito trasformata in uno dei più grandi fenomeni del genere. Dimebag ha reinventato il modo di suonare la musica thrash della Bay Area resa famosa da Metallica, Megadeth ed Exodus, tramite l’utilizzo di riff stoppati,  intervallati da altri più lenti e massicci. Il suo stile unico di chitarra ha poi ispirato tutto il filone nu metal degli anni 90 e anche gruppi più sperimentali come i Meshuggah e i Fear Factory. Anche come solista Dimebag ha detto la sua: assoli di una potenza incredibile, con una plettrata alternata da fare invidia anche ai più grandi virtuosi.

 

 

Ultimo aggiornamento: 25.04.24

 

Scopriamo di più sul leggendario frontman dei Queen e sulla sua famiglia, in particolare sulla sorella Kashmira Cooke

 

La vita di Freddie Mercury non è stata semplice, la rockstar ha dovuto affrontare diverse difficoltà pur essendo asceso all’Olimpo della musica grazie alle sue doti e al suo gruppo: i Queen. Uno dei frontman più incredibili della storia del rock, capace di regalare performance dal vivo indimenticabili e dotato di un’estensione vocale sorprendente, Freddie Mercury ha avuto un rapporto particolare con la famiglia, sia per la sua decisione di intraprendere la carriera di musicista, sia per la sua malattia. 

La famiglia è originaria di Zanzibar, ma fu costretta a trasferirsi in Gran Bretagna a causa della rivoluzione che stava sconvolgendo il paese natio. Bomi Bulsara, Jer Bulsara e i giovani Freddie e Kashmira si sistemarono nella periferia londinese. Il giovane Farrokh cercò di tenere nascoste le sue origini, in quanto sentiva che non si abbinavano al rock e allo stile da rockstar, per questo decise di farsi chiamare Freddie Mercury. 

Il padre di Freddie Mercury, Bomi Bulsara (1908-2003), aveva ideologie molto legate alla fede religiosa, per questo non vide proprio di buon occhio la scelta del figlio Farrokh Bulsara (vero nome di Freddie Mercury) di diventare una rock star, ma nonostante questo lo supportò nel corso della sua carriera mostrandogli affetto. 

La madre di Freddie Mercury, Jer Bulsara scomparsa nel 2016, aveva un carattere meno austero e aveva un grande senso dell’umorismo, il quale probabilmente è stato trasmesso allo stesso Freddie che amava scherzare con tutte le persone che incontrava. Estremamente legata al marito, la mamma di Freddie Mercury è stata una grande fan della band, andando spesso a vedere i Queen suonare quando poteva. Quando Jer Bulsara è morta, il chitarrista dei Queen Brian May ha pubblicato una toccante lettera di cordoglio, per ricordare la dolcezza della madre del suo amico e compagno di band.

La sorella di Freddie Mercury, Kashmira Bulsara non è mai stata attratta dalla vita sotto i riflettori, per questo si è esposta raramente e a conceduto poche interviste alla stampa specializzata. Rimasta colpita dal film Bohemian Rhapsody, Kashmira ha dichiarato di essersi emozionata nel vedere la performance di Rami Malek, affermando comunque che sono i ricordi personali sono molto più importanti per lei. 

Kashmira Bulsara-Cook ha sempre avuto un bel rapporto con il fratello, i due sono spesso usciti insieme divertendosi con gli amici, anche dopo che Freddie aveva raggiunto l’apice del successo. Il cantante dei Queen era molto amato per il suo affetto verso le persone care, che hanno sempre avuto un posto d’eccezione nella sua vita. Kashmira passava spesso serate nella casa londinese del cantante, oppure frequentavano ristoranti etnici. 

Non si sa molto sulla vita di Kashmira, solo che è sposata con Roger Cooke con il quale ha avuto un figlio di nome Jamal e dal quale ha preso il cognome, diventando Kashmira Cooke. Non sono state rese note informazioni sulla sua vita privata, la sua professione e altro. 

Il film Bohemian Rhapsody e Mary Austin

Proprio il film Bohemian Rhapsody ha risvegliato un grande interesse nel gruppo da parte del pubblico, colpendo anche le nuove generazioni. La pellicola incentrata più sulla figura di Mercury che sulla band, viene portata avanti dall’ottima interpretazione di Rami Malek, ma contiene diversi errori sulla storia dei Queen. La sceneggiatura ha forse premuto troppo l’acceleratore sul voler a tutti i costi mostrare la vita di Freddie Mercury in tutta la sua sregolatezza, con tutte le sue difficoltà e sofferenze, forse in modo un po’ troppo accentuato. Al di là di una scrittura spesso scontata e delle inesattezze storiche, il film ha portato moltissime persone ad ascoltare album dei Queen e ad interessarsi non solo a Freddie Mercury, ma anche alle persone che lo hanno circondato.

Il biopic approfondisce il rapporto tra Freddie Mercury e Mary Austin, una storia d’amore e di amicizia che è andata avanti anche dopo la dichiarazione di omosessualità del cantante. Mary Austin è stata vicina a Freddie fino al momento della sua morte. Nonostante avesse una relazione con Jim Hutton, Freddie Mercury ha sempre considerato Mary Austin come sua ‘moglie’. 

In un’intervista Mary Austin ha raccontato un episodio non presente nel film, ovvero la proposta di matrimonio di Freddie Mercury, poi mai realizzata. Nonostante rimasero molto legati, quella fu una grande delusione per la Austin, in quanto dopo la proposta Mercury cambiò idea, cosa che portò alla fine della loro relazione amorosa, ovviamente facendo soffrire entrambi. 

Fu proprio Mary Austin a capire il vero orientamento sessuale di Freddie Mercury e ovviamente ad accettarlo. I due rimasero amici anche se avevano intrapreso altre relazioni. Per Freddie Mercury, Mary era la sua migliore amica, una persona con la quale avrebbe potuto affrontare qualsiasi cosa. Parte dell’eredità di Freddie Mercury è andata proprio a Mary Austin, alla quale il cantante ha lasciato la sua villa, i suoi beni e i diritti delle sue registrazioni.

Mary Austin vive proprio nella casa di Freddie Mercury a Londra, lasciata in eredità proprio dal cantante. La Austin inoltre è una delle poche persone che sa dove sono sepolte le ceneri del cantante. A lei Freddie Mercury ha dedicato il bellissimo brano Love of My Life, contenuto nel disco A Night at the Opera.