Ultimo aggiornamento: 24.04.24

 

Il Bonus Cultura messo a disposizione dal Governo per i giovani è una buona occasione per acquistare dischi e libri oppure partecipare ad attività culturali. Vediamo come funziona.

 

Il Governo Italiano ha introdotto il Bonus Cultura, conosciuto anche come 18app. Questo particolare incentivo di 500 euro è riservato solo ed esclusivamente ai giovani di diciotto anni di età. Questa cifra si potrà investire per acquistare libri, dischi, partecipare a corsi online oppure accedere a diverse attività culturali. L’idea è nata per cercare di smuovere l’interesse dei più giovani e farli investire in interessi per promuovere lo sviluppo della cultura in Italia, un Paese che paradossalmente negli ultimi vent’anni ha visto un notevole affossamento intellettuale. 

Nel 2020 e nel 2024 siamo stati colpiti duramente dalla pandemia che ha visto, tra le altre problematiche, la chiusura delle scuole. Questo ha portato molti giovani a dover concludere il loro percorso scolastico delle superiore e passare all’università senza poter frequentare le lezioni. Si discute spesso di come questa pandemia abbia colpito le nuove generazioni che si sono trovate completamente spaesate ed isolate, in un periodo della loro crescita e della vita dove si è spinti a fare esperienze, socializzare e scoprire il prossimo come se stessi. Per quanto la DAD sia servita a mantenere gli studi attivi, nessuno schermo potrà mai sostituire la compagnia dei coetanei. 

Il Bonus Cultura magari non è la soluzione per tirare su il morale dei più giovani, ma è un modo per avere la possibilità di spendere una buona cifra per fare qualche interessante corso online, o semplicemente comprare i propri dischi preferiti. Il bonus di 500 euro si può spendere in diversi negozi, anche online. Vediamo come fare in questo nostro articolo. 

Il Bonus Cultura 2024

Il 18 app si può spendere su Amazon, una soluzione molto conveniente specialmente per i giovani che si trovano ancora nelle regioni in zona rossa e quindi impossibilitati a recarsi nei negozi. Per poter richiedere il contributo occorre registrarsi al sito 18app.italia.it utilizzando l’identità digitale (SPID). La data di scadenza per la richiesta del bonus è il 31 agosto 2024. Per richiedere SPID è possibile rivolgersi a particolari gestori abilitati come ad esempio Poste Italiane o Tim. Per usare il Bonus Cultura su Amazon inoltre occorre avere un account sul negozio online. La procedura è molto semplice e inoltre è completamente gratuita. 

 

Come usare il Bonus Cultura su Amazon

Una volta fatta la richiesta tramite SPID, i giovani riceveranno una particolare card contenente il bonus da 500 euro. Questa cifra è utilizzabile unicamente attraverso dei buoni spesa individuali che si possono creare e salvare in PDF sullo smartphone o su tablet. Per spendere un buono su Amazon non dovrete fare altro che creare un buono sul sito 18app.italia.it. Il buono deve avere un valore da 1 a 15 € massimo. 

In seguito dovrete visitare la pagina amazon.bonus.18.it per convertire il suddetto buono in un codice promozionale. Questo codice promozionale si potrà utilizzare per acquistare articoli come libri, DVD, Blu-ray o CD, ad esempio comprare un album dei Beatles che manca alla collezione di dischi, oppure un libro che avete sempre voluto leggere. 

Potrete usare più codici promozionali per un singolo acquisto, in modo da poter comprare più articoli. Una volta scelto e messo nel carrello, per procedere all’acquisto dovrete inserire in ‘Modalità di Pagamento’ il vostro codice, precisamente nel campo ‘Aggiungi un buono regalo o codice promozionale’, spuntando la casella ‘utilizza saldo del buono regalo’. Sarà anche possibile effettuare un ordine regalo, non dovrete fare altro che selezionare i codici promozionali come metodo di pagamento. 

Ricordiamo inoltre che per poter usare il codice Amazon è necessario associare una carta di credito al metodo di pagamento sul negozio online. Sarà possibile inserire una Postepay o una prepagata Paypal. Eventuali richieste di reso verranno effettuate sotto forma di buono 18app. 

Il Bonus Cultura 2020 

Questo bonus è stato fornito a tutti i diciottenni nati nel 2001 è terminato il 28 febbraio 2020, pertanto non è più possibile utilizzare i suoi benefici, né ovviamente fare richiesta.  

 

Altri modi per usare il bonus giovani

Il bonus per i nati nel 2002 scade il 28 febbraio del 2024, quindi c’è un bel po’ di tempo a disposizione per usare questo incentivo. Oltre a musica, film e libri è possibile spendere il bonus per comprare biglietti per il cinema o il teatro, due luoghi che in teoria dovrebbero vedere una riapertura a breve. Allo stesso modo si potrà sfruttare per accedere a musei, mostre e de eventi culturali così come ad aree archeologiche e parchi naturali. L’unico limite posto dal bonus è che non è possibile acquistare più di un biglietto alla volta o più copie di uno stesso disco, libro o DVD\Blu-ray. 

Per quanto riguarda i corsi, il bonus vale per quelli di musica, teatro e lingua straniera, quindi una buona occasione per accrescere la propria conoscenza di un determinato ambito oppure cominciare un nuovo hobby. Nella nuova legge di Bilancio 2024 è stata introdotta la possibilità di spendere il buono anche per abbonamenti a giornali periodici in formato cartaceo o sul web. 

Attenzione alle truffe 

Non è possibile trasformare il Bonus Cultura in denaro, quindi nel caso si ricevano proposte simili da terzi è bene contattare subito le autorità interessate oppure scrivere una mail a numeroverde@beniculturali.it denunciando la persona che ha proposto questa ‘soluzione’. 

 

 

Ultimo aggiornamento: 24.04.24

 

Non c’è niente di meglio che un po’ di musica movimentata per tirarsi un po’ su, specialmente in questi tempi poco felici. 

 

In questi ultimi mesi spesso e (mal)volentieri siamo stati costretti in casa, cosa che può portare facilmente ad abbattersi, specialmente nel week end quando si vorrebbe uscire e godersi la primavera. In qualche modo però bisogna tirarsi su, distraendosi con un bel film, i videogame, un po’ di sport o magari qualche gioco di società per tutta la famiglia. In realtà anche la musica ha effetti terapeutici non indifferenti, specialmente quella dei generi più ‘carichi’ come il rock, l’hard rock, il metal e il rap. 

Quando vi sentite giù di morale, ascoltare un po’ di musica motivazionale può farvi svoltare la giornata, rimettendovi sui binari della positività. Allo stesso modo, una buona musica per allenamento è un ottimo modo per tenervi in forma stando in casa, soprattutto se prima del Covid eravate abituati ad ascoltare musica in palestra

Vediamo quali sono le canzoni che danno la carica più ascoltate. 

 

AC\DC – T.N.T.

Cosa c’è di più esplosivo della dinamite? Semplice: gli AC\DC! I terribili australiani sono praticamente sinonimo di Hard Rock e qualsiasi loro brano andrebbe bene per farvi risorgere. Il brano T.N.T. è pura dinamite: l’incedere della batteria sotto un riff di chitarra granitico tipico della band, la voce inimitabile del compianto Bon Scott e l’assolo della Gibson Diavoletto di Angus Young. Una delle canzoni che caricano più di una dose intensa di caffè, da ascoltare nei momenti grigi per sentirsi invincibili.

Judas Priest – Painkiller

Se qualcuno dovesse chiedervi cos’è l’Heavy Metal, potete rispondere con questo brano degli inglesi Judas Priest, capitanati dall’esplosivo singer Rob Halford. Autori di musica adrenalinica nel 1990 “svoltano” con un disco carico di metallo fuso, che si apre proprio con la title track: Painkiller. Doppia cassa, riff di chitarra al fulmicotone e la voce di Rob Halford che graffia le note come una tigre lasciano poi spazio agli assoli incredibili di Glenn Tipton e K.K. Downing. Un capolavoro del genere che vi farà superare anche il peggior lunedì o week end di lockdown. 

 

Survivor – Eye of the Tiger

Scrivendo di musica che carica, non potevamo proprio tenere fuori dalle nostre proposte il brano ‘sportivo’ per eccellenza. Da colonna sonora di Rocky III che accompagna le il pugile italoamericano nella sua sfida contro il terribile Clubber Lang (interpretato da Mr.T), Eye of The Tiger è diventata praticamente l’emblema della musica motivazionale per lo sport. D’altronde chi di noi non si è mai sentito un po’ Rocky durante gli allenamenti?
Puro rock anni ‘80, con riff che ricordano i Deep Purple e l’indimenticabile ritornello che ormai conoscono anche i sassi. 

Europe – The Final Countdown

Rimanendo sempre nei gloriosi anni ‘80, la band hard rock svedese Europe si fa conoscere con la hit ‘The Final Countdown’ che unisce il sound quasi ‘epico’ delle tastiere ai riff tipici del genere, con tanto di assolo virtuoso. Il giro di tastiera e il ritornello sono entrati nella testa di qualsiasi amante del rock che li ha accettati volentieri o malvolentieri. Ottima musica per fitness, tra l’altro gli Europe hanno deliziato i loro fan con dei simpatici video realizzati durante il lockdown, un buon modo per passare qualche minuto in compagnia della band. 

 

Pantera – A New Level 

Sfociando su territori decisamente più duri, se cercate musica che carica e non temete il suono dirompente del thrash metal, allora questo brano dei Pantera vi potrà portare su ‘un altro livello’. Sezione ritmica nelle sapienti mani di Vinnie Paul e Rex che accompagna la chitarra del compianto e geniale Dimebag Darrell, il tutto contornato dalla carica inconfondibile della voce di Phil Anselmo. La traccia apre il disco ‘Vulgar Display of Power’ ed è una vera mazzata che vi farà riprendere, con un ritornello trascinato dal riff cadenzato dal suono di un arieggiatore elettrico. Album rivoluzionario, brano di grande carica. 

Queen – Don’t Stop Me Now 

Dopo essere stati un po’ strattonati dai Pantera, passiamo a un brano più leggero, ma non per questo meno carico! La musica adrenalinica d’altronde non è fatta solo di chitarre distorte e doppia cassa, lo dimostrano bene i Queen con Don’t Stop Me Now, una canzone che vi farà volare grazie al suo ritmo coinvolgente e l’incredibile performance vocale di Freddie Mercury, assolutamente scatenato in questo brano. La traccia si trova sull’album dei Queen chiamato Jazz, pubblicato nel 1978, disco che al tempo divise le opinioni della critica, tra chi lo considerava un volgare esperimento e chi invece un’opera riuscita e divertente. 

 

Metallica – Battery

Il disco Master of Puppets è considerato da molti uno dei capolavori assoluti dell’Heavy Metal. I Metallica qui si allontanano leggermente dagli esordi thrash di Kill’em All e Ride The Lightning per creare un disco variegato, con composizioni fresche divise tra l’aggressività tipica della Bay Area e sonorità più ragionate. L’opener Battery appartiene alla prima categoria e dopo la breve introduzione di chitarra acustica, esplode in un tripudio di adrenalina, con UIrich che picchia le pelli come un dannato e le chitarre che danno vita ad un riff incalzante. Un brano con il quale scuotere la testa dall’inizio alla fine e scaricare tutta la negatività in un solo colpo. 

Beastie Boys – Sabotage

Direttamente da New York, i Beastie Boys sono stati uno dei primi gruppi a fondere le sonorità punk e metal con il rap, contribuendo a dare vita al genere crossover. Il brano Sabotage è una vera bomba, se avete visto l’ultima edizione di X-Factor probabilmente vi ricorderete dell’ottima cover del talentuoso duo Little Pieces of Marmelade. Con Sabotage ci si muove, ottima sia per darsi la carica durante un allenamento, sia per sfogarsi un po’ quando ci si sente giù. 

 

 

Ultimo aggiornamento: 24.04.24

 

Principale vantaggio

Pulse è una raccolta di brani dal vivo che ripropone la scaletta programmata dalla band per il tour di promozione del disco The Division Bell, organizzato nel 1994. Il live album presenta i brani più famosi e amati dei Pink Floyd, un buon punto di partenza se vi state avvicinando alla band e non sapete quale album dei Pink Floyd comprare. Il primo CD presenta brani tratti da diversi dischi, tra i quali anche il pezzo Astronomy Divine di Syd Barrett. Sul secondo CD invece troviamo l’intero disco The Dark Side of The Moon eseguito dal vivo, una vera chicca per gli appassionati che potranno trovare le differenze tra il lavoro in studio e l’esibizione live. 

 

Principale svantaggio

Come tutti i dischi dal vivo, anche Pulse può deludere l’ascoltatore che magari si aspetta una produzione cristallina dei suoni e un’esecuzione perfetta dei brani. A questo si accosta anche il prezzo di vendita del disco che a nostro parere è eccessivamente alto per la proposta. Un acquisto che possiamo consigliarvi solo se avete un buon budget a disposizione o se siete dei fan sfegatati dei Pink Floyd e volete completare la loro discografia. In alternativa, meglio puntare direttamente su The Dark Side of the Moon o su altri dischi come Atom Heart Mother, The Wall e Wish You Were Here. 

 

Verdetto: 9.2/10

Vista l’incredibile discografia dei Pink Floyd, ci risulta difficile premiare questo live con un punteggio pieno, sia per il suo prezzo poco conveniente, sia per la proposta che potrebbe non convincere pienamente gli appassionati. Un disco decisamente da collezionisti che dovrebbe finire in fondo alla lista dei desideri se invece vi mancano ancora dei dischi in studio dei Pink Floyd. Tutto sommato, l’ascolto delle tracce eseguite dal vivo è molto piacevole, specialmente l’intera esecuzione di The Dark Side of The Moon. 

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DESCRIZIONE CARATTERISTICHE PRINCIPALI

 

Un ‘altro’ live dei Pink Floyd

Quando si parla dei Pink Floyd e concerti dal vivo, il primo che viene in mente è quello del leggendario documentario ‘Pink Floyd a Pompei’ di Adrian Maben, uscito nell’ormai lontano 1974. Negli anni ‘90 i Pink Floyd erano ormai una band non più tanto giovane che aveva dato quasi tutto ciò che poteva dare al mondo della musica e dell’arte in generale. 

I dischi di questo periodo infatti non sono particolarmente memorabili, ne tantomeno questo live album Pulse che comunque può rivelarsi una buona aggiunta alla collezione di ogni appassionato. Il disco in particolare contiene l’esecuzione della scaletta del tour organizzato per promuovere The Division Bell. Degna di nota l’esecuzione dell’intero disco The Dark Side of The Moon che potrà deliziare i fan della band. 

Le tracce

I live album sono sempre una lama a doppio taglio: da una parte danno la possibilità ai neofiti di avere un’infarinatura generale dei brani più famosi della band, dall’altra rimangono comunque lavori marginali di una discografia (salvo rarissimi casi), realizzati solo per i fan. In questo caso troviamo una scaletta di ottimo livello: nel primo disco i Pink Floyd propongono brani assortiti dai dischi più famosi, come Wish you Were Here, The Wall e ovviamente The Division Bell. Piacevole l’inclusione di Astronomy Divine di Syd Barrett nel ‘suo’ The Piper At The Gates of Dawn. 

Il secondo disco invece è il fiore all’occhiello della proposta, una sorta di live di The Dark Side of The Moon, dove la band propone l’intero disco dal vivo. La conclusione è affidata alle sempre bellissime Wish You Were Here, Comfortably Numb e Run Like Hell. 

 

Una proposta costosa

La registrazione dei brani dal vivo risulta di buon livello, a livello tecnico è stata catturata l’atmosfera del live con il pubblico e il riverbero tipico dei concerti. L’esecuzione dei brani da parte della band è ottima, inoltre sugli assoli di Gilmour si può percepire la genuinità emotiva del chitarrista sui bending e vibrati. 

Ovviamente la precisione del suono non è minimamente paragonabile a quella ottenuta in studio, quindi se non possedete The Dark Side of The Moon nella vostra collezione di dischi, allora meglio puntare su quello piuttosto che su Pulse. Non particolarmente vantaggioso anche il prezzo di questo doppio CD, poco giustificato visto che si tratta di un lavoro risalente al 1994 di una band ormai sciolta. 

 

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Ultimo aggiornamento: 24.04.24

 

Principale vantaggio

Dark Side of The Moon è stato il disco che ha portato il prog rock nel circuito della musica ‘mainstream’, contribuendo ad accrescere il già notevole successo della band britannica. Questo album dei Pink Floyd viene considerato da molti un vero capolavoro e a ben vedere: dieci tracce una più bella dell’altra tra le quali troviamo le bellissime Breathe, The Great Gig in The Sky, Money e Time. Questo è un disco leggendario da avere nella vostra collezione, se siete appassionati dei Pink Floyd e del prog rock, ma anche se amate la musica in generale. 

 

Principale svantaggio

La produzione del veterano Alan Parsons diede al disco il suono profondo, pulito e allo stesso umano. La rimasterizzazione effettuata per questa edizione non rende giustizia al lavoro di Parsons, specialmente su vinile dove si può sentire un leggero rumore di sottofondo. Nulla che rovini l’esperienza di ascolto, ma probabilmente si poteva sperare in un remaster curato con più attenzione. Diciamo che se conoscete molto bene l’opera e siete abituati al suono del vinile originale, potreste rimanere un po’ delusi. 

 

Verdetto: 9.8/10

The Dark Side of The Moon è un disco imperdibile sia se vi state avvicinando ai Pink Floyd, sia se avete una vecchia edizione. Questo capolavoro racchiude l’essenza della band inglese, grazie alle composizioni di musicisti di altissimo livello come David Gilmour, Richard Wright e Roger Waters. Un vero e proprio viaggio durante il quale verrete accompagnati da un caleidoscopio di note, melodie e trovate geniali che ancora oggi restano ineguagliabili. Il nostro verdetto quindi è assolutamente positivo, sebbene non diamo il punteggio pieno al remaster proprio perché riteniamo si potesse fare un lavoro migliore. 

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DESCRIZIONE CARATTERISTICHE PRINCIPALI

 

Un album leggendario

Nel 1973 i Pink Floyd godevano già di grande fama nel panorama musicale mondiale, grazie al loro prog rock raffinato, ma allo stesso tempo ‘accessibile’ che li aveva distinti da band dal carattere più ‘tecnico’ come quelle della scena di Canterbury. Con The Dark Side Of The Moon, la band si concede un ennesima virata, inserendo le sonorità psichedeliche in una forma canzone facilmente identificabile, senza ovviamente snaturare il carattere dell’opera. 

Registrato agli Abbey Road Studios di Londra con il mitico Alan Parsons dietro il mixer, The Dark Side of The Moon è un ‘concept album’ che affronta temi come la morte, il denaro, il tempo e la vastità della mente umana. Un vero e proprio viaggio musicale che vi trasporterà in un universo onirico, con tracce cariche di emotività tra la voce calda dei musicisti, le atmosfere psichedeliche e gli assoli appassionati di David Gilmour.

Le tracce 

Quando si parla di un disco come The Dark Side of The Moon è difficile ‘estrapolare’ delle tracce per trovare quelle più memorabili. L’opera va ascoltata nella sua interezza, in quanto le tracce sono perfettamente collegate tra di loro e portate avanti da un preciso filo conduttore. Per questo vi consigliamo di inserire il disco nel lettore, premere play e lasciarvi trasportare. 

Le bellissime Time e Breathe colpiscono con melodie sognanti, tipiche dei Pink Floyd di quel periodo, dove David Gilmour aveva portato nelle composizioni il suo stile chitarristico caratterizzato da lenti vibrati e bending capaci di rapire il cuore dell’ascoltatore. La carica emotiva di The Great Gig in The Sky lascia spazio a Money un brano di stampo più ‘rock’ per poi tornare alla psichedelia dai toni epici di Us and Them, dove troviamo tinte jazz grazie al sassofono. Con Any Colour You Like i Pink Floyd tornano un po’ alle origini, con un prog rock coinvolgente. Il brano si conclude con le splendide Brain Damage ed Eclipse.  

 

Produzione 

Il disco fu prodotto agli Abbey Road Studios con l’aiuto del tecnico Alan Parsons che aveva già lavorato con la band per realizzare Atom Heart Mother. Parsons, come molti altri tecnici e musicisti che avevano contribuito alla realizzazione del disco, si disse in seguito poco felice del trattamento da parte della band: lui e tanti altri (come la cantante di The Great Gig in The Sky) vennero sottopagati e non videro una sterlina dal successo planetario del disco. 

Dissapori a parte, la produzione di The Dark Side of The Moon è un vero gioiello di tecnica sonora che in questo remaster curato da James Guthrie (co-produttore di The Wall) viene riproposto con un missaggio più moderno. Il risultato è abbastanza gradevole, sebbene non sia paragonabile alla qualità del vinile originale.

 

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Ultimo aggiornamento: 24.04.24

 

Principale vantaggio

Il quarto disco dei Pink Floyd, in cui ormai David Gilmour ha sostituito completamente Syd Barrett, con il quale purtroppo la band non riesce più a lavorare a causa della sua dipendenza dalle droghe e per il carattere sempre più difficile dell’artista. Cosa succede con Ummagumma? La band si allontana completamente dal rock per provare la strada della psichedelia totale, sfociando nella sperimentazione e nella musica classica. Il risultato è un disco di grande atmosfera, un vero e proprio viaggio dal quale è praticamente impossibile estrapolare una singola traccia, perché sarebbe fuori contesto. 

 

Principale svantaggio

Nonostante sia indubbiamente un prodotto di alto livello sul versante prettamente compositivo e musicale, Ummagumma può risultare un vano esercizio di stile. Non a caso persino i membri della stessa band con il senno di poi lo hanno quasi ripudiato, mentre la critica da una parte lo ha apprezzato, dall’altra si è trovata davanti ad un disco che effettivamente aveva poco da comunicare se non mostrare l’abilità dei musicisti nel saper sfruttare una vasta gamma di suoni. 

 

Verdetto: 9.4/10

Non proprio il disco più riuscito della discografia dei Pink Floyd. Insieme ad Animals, Ummagumma viene spesso ignorato a favore di dischi ben più riusciti. Se volete completare la discografia dei Pink Floyd non può chiaramente mancare, ma aspettatevi di trovarvi davanti un’opera diversa, nella quale le atmosfere più marcatamente floydiane arrivano solo verso i minuti conclusivi. Un album forse un po’ troppo ‘cervellotico’ che mostra il fianco a una certa voglia dei giovani Pink Floyd di voler a tutti i costi mostrare la loro abilità. Il nostro verdetto è comunque positivo, perché ci troviamo di fronte a della musica di qualità, sebbene riteniamo che nella loro discografia ci siano lavori di gran lunga superiori. 

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DESCRIZIONE CARATTERISTICHE PRINCIPALI

 

Pura sperimentazione

Nel 1969 i Pink Floyd erano reduci della loro prima esperienza nel mondo del cinema, in quanto furono incaricati di scrivere la colonna sonora per il film More – Di più, ancora di più di Barbet Schroeder. La band si discosta completamente dalla psichedelia mista al rock classico degli esordi con Barrett, per dare spazio alla sperimentazione più sfrenata. 

Il metodo compositivo usato è alquanto peculiare: Gilmour, Mason, Waters e Wright composero le tracce separatamente, creando così un disco molto particolare che nel corso del suo minutaggio cambia forma attraverso la musica. In qualche modo Ummagumma è un modo per capire la direzione presa dalla band in quegli anni e che in seguito si evolverà in composizioni più corali ed emotive. 

Un viaggio nella psichedelia

Quando si parla di Ummagumma bisogna pensare ad un lavoro omogeneo, un vero e proprio viaggio musicale dove nessuna traccia può spiccare il volo da sola, in quanto inserita in un contesto ben preciso e in tre diverse suite. Si parte con quella creata dal tastierista Richard Wright, ovvero Sysyphus, dove siamo al limite della musica classica, con sperimentazioni di suoni e un’atmosfera quasi da colonna sonora. 

Con le tracce di Roger Waters invece ci troviamo in un contesto psichedelico, dove veniamo praticamente assaliti da una serie di suoni atti ad emulare il verso degli animali. The Narrow Way di David Gilmour è la suite in tre parti dove gli esercizi di stile lasciano un po’ di spazio alla musica coinvolgente anche per l’ascoltatore. The Grand Vizier’s Garden Party del batterista Nick Mason ha un carattere più ritmico, con percussioni miste a suoni sperimentali. 

Proprio per la divisione delle composizioni, ad Ummagumma manca una certa ‘coralità’, il disco ogni tanto si perde nelle sue stesse sperimentazioni, con una band che quasi sembra voler lasciare fuori l’ascoltatore. 

 

Il remaster

Ummagumma è un disco che come Animals ha i suoi appassionati e i suoi detrattori, quindi diciamo che è uno di quei prodotti da amare o odiare, senza mezzi termini. Ciò non toglie che sia un disco dove la classe dei Pink Floyd risplende, un prodotto interessante specialmente per capire la vena compositiva di ogni membro del quartetto. 

Il remaster di James Guthrie si comporta molto bene, riuscendo a dare un tocco più ‘moderno’ ai suoni e recuperando il lavoro della band senza però snaturarne il sound originale. Da apprezzare anche il packaging digipack, con artwork originale e il nuovo booklet a cura di Storm Thorgerson. Un ottimo modo per completare la vostra collezione con una nuova edizione dell’album dei Pink Floyd.

 

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Ultimo aggiornamento: 24.04.24

 

Principale vantaggio

L’album dei Pink Floyd che ha dato inizio alla loro incredibile carriera, The Piper at The Gates of Dawn viene ancora considerato uno dei lavori prog\psychedelic rock più belli mai realizzati. La formazione originale che vede Syd Barrett alla chitarra, realizza un disco che è una vera e propria valanga di suoni, un progetto innovativo che ha contribuito ad influenzare diverse band progressive e psichedeliche negli anni successivi. Nonostante sia un filo ‘acerbo’ e ancora legato ad alcuni stilemi della scena rock e prog rock britannica, il disco è un vero capolavoro, con tracce spaziali come Astronomy Divine, il rock più classico di Lucifer Sam, la follia di Take Up Thy Stethoscope and Walk e l’esplosione caleidoscopica di Interstellar Overdrive. 

 

Principale svantaggio

Difficile trovare un difetto in questo disco dei Pink Floyd. Se però vi siete avvicinati da poco alla loro discografia perché attratti dai loro album più conosciuti, allora preparatevi a sentire una band molto diversa da quella che conoscete. Dimenticate le sonorità oniriche e quasi soavi proposte dalla formazione con David Gilmour, con Syd Barrett si viaggia su toni più distorti e tesi. I giri di chitarra e gli stessi assoli sono decisamente più ‘schizzati’, mentre l’atmosfera generale del disco non è per niente rassicurante, anche nei brani più ‘leggeri’ come The Gnome. 

 

Verdetto: 9.7/10

Se siete dei fan dei Pink Floyd e del rock psichedelico o progressive, non potete proprio farvi sfuggire questo incredibile album. Chiaramente siamo ben lontani dalle sonorità che hanno portato i Pink Floyd al successo, ma ci troviamo comunque davanti ad un disco di livello altissimo, specialmente per un debutto. Un lavoro importante per capire l’evoluzione della band ed apprezzare l’abilità compositiva del compianto Syd Barrett. Il nostro verdetto è positivo, sebbene ci riserviamo di non dargli un punteggio pieno proprio per alcuni parti un po’ troppo ‘acerbe’. 

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DESCRIZIONE CARATTERISTICHE PRINCIPALI 

 

Un debutto con i fiocchi

Alla fine degli anni ‘60, la musica inglese aveva praticamente conquistato il mondo, non a caso si parla della ‘British Invasion’ per indicare quel particolare periodo storico caratterizzato da band rock composte da giovani musicisti. Tra queste ovviamente figuravano i già famosi The Beatles e i The Kinks. In Inghilterra però i musicisti stavano subendo il fascino del jazz e della fusion, delle jam session e della mescolanza tra i suoni al fine di creare atmosfere volutamente confuse e caotiche. 

Per questo nel Regno Unito iniziano a formarsi le prime band ‘prototipo’ dei generi come il rock progressive e psichedelico, in particolare nella zona di Canterbury. I Pink Floyd capitanati da Syd Barrett registrano il loro debutto nel 1967, con influenze che vanno dalle tipiche rock band inglesi, per poi sfociare nella totale psichedelia. 

Le tracce

The Piper at the gates of dawn è l’unico disco dei Pink Floyd interamente composto da Syd Barrett, in quanto già l’anno successivo il musicista cominciò ad abbandonarsi all’uso di droghe, lasciando il ruolo di chitarrista al ben più lucido David Gilmour. Lo stile dei due è decisamente diverso: se siete abituati al sound rilassato e onirico della chitarra di Gilmour, preparatevi perché quello di Barrett è completamente diverso. 

Il disco si apre con Astronomy Divine, un brano apprezzato anche da band di altri generi musicali (famosa la cover della band metal Voivod) per le sue variazioni e per il tema ‘spaziale’. Si va sul rock più classico di Lucifer Sam e Matilda Mother, due brani che potrebbero far venire in mente i The Beatles, ma sotto effetto di acidi. 

Le prime sei tracce (sono dodici in tutto) chiudono il lato A del vinile con la folle Take Up Thy Stethoscope and Walk, per poi ripartire con un brano nel quale si potrebbe riassumere il concetto di rock psichedelico: Interstellar Overdrive. The Gnome invece si attesta su tonalità più leggere, con una chitarra acustica e la voce di Barrett che comunque tiene alta la tensione, con atmosfere sinistre che stridono con il testo spensierato del bran. 

 

Il remaster

Concludiamo la nostra recensione parlando del remaster a cura di James Guthrie, co-produttore del disco The Wall. In generale Guthrie ha fatto un buon lavoro nel riproporre la discografia dei Pink Floyd, con una masterizzazione digitale che conferisce al suono un carattere un filo più in linea con le produzioni moderne, senza però snaturarne l’essenza. Chiaramente gli LP originali sono qualitativamente superiori, in quanto più fedeli al suono tipico degli anni 60/70. Ottimo il packaging con booklet creato dall’art director Storm Thorgerson. 

 

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Ultimo aggiornamento: 24.04.24

 

Principale vantaggio

Conosciuto come il famoso disco di Stairway to Heaven, questo album dei Led Zeppelin viene spesso considerato il loro capolavoro. Oltre alla suddetta sempre splendida traccia, troviamo brani di alta classe come The Battle of Evermore, Black Dog e Misty Mountain Hop. Il disco mette in mostra tutta l’abilità dei musicisti, con un hard rock sfrenato che sfocia in momenti di quiete ed epicità. Un caposaldo della musica rock di stampo britannico che non può mancare nella vostra collezione di dischi. 

 

Principale svantaggio

Il suono del remaster sul vinile non è proprio il massimo, specialmente se paragonata a quello dell’originale. La digitalizzazione non fa proprio benissimo alle sonorità vintage, ma questo è un difetto accomunabile a molte produzioni e rimasterizzazioni moderne. Tra le due vi consigliamo infatti di optare per la versione CD, a meno che non vogliate semplicemente l’LP da mettere in mostra nella vostra collezione. 

 

Verdetto: 9.8/10

Plant, Bonham, Page e Jones in forma smagliante propongono il loro rock scatenato su questo gioiello della musica moderna. Un disco al quale hanno attinto (e continuano ad attingere) la maggior parte delle band rock, hard rock e heavy metal. I Led Zeppelin qui dimostrano di poter suonare ciò che vogliono, dall’hard rock, per passare alle dodici barre del blues fino alla leggendaria ‘suite’ Stairway to Heaven. Il nostro verdetto è ovviamente positivo, sebbene non possiamo dare il massimo dei voti a questo remaster a causa del suo suono poco soddisfacente su vinile. 

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DESCRIZIONE CARATTERISTICHE PRINCIPALI 

 

Un capolavoro del rock

Nel film Wayne’s World (Fuori di Testa), al protagonista viene severamente vietato di suonare Stairway to Heaven per provare una nuova chitarra in un negozio. Questo brano dei Led Zeppelin è probabilmente uno dei più famosi della storia del rock e probabilmente il primo nel quale tutti i chitarristi in erba amano cimentarsi. Nonostante l’incredibile bellezza della Suite, il disco IV è composto da altri sette capolavori che lo hanno reso leggendario. Dal rock più scatenato di Black Dog si passa a quello più classico, con dodici barre blues sempre interpretate con distorsioni e la voce di Plant che fa da padrone.

The Battle for Evermore è un brano dai toni epici ispirato alle opere di J.R.R. Tolkien, mentre con Misty Mountain Hop e Four Sticks si torna ad un hard rock movimentato, con intermezzi più classici e coretti in stile The Beatles. I Led Zeppelin poi allietano con Going to California: un brano dal sapore country che ricorda un po’ il southern rock, attaccandolo alla traccia conclusiva When the levee Breaks, dove Robert Plant mostra la sua abilità con l’armonica. 

Una produzione non facile

Come sono arrivati i Led Zeppelin a produrre un album così variegato? Il quartetto inglese si trovava alle spalle l’ottimo Led Zeppelin III che all’epoca non venne proprio compreso dalla critica incapace di inquadrarli in un genere, disorientata da una band capace di incorporare diversi stili. Per il quarto lavoro in studio i Led Zeppelin decidono di tirare fuori un album per certi versi più diretto e più digeribile che fa del rock il suo cavallo di battaglia. 

In realtà per evitare altre critiche sulla loro identità, Robert Plant e compagni quasi decidono di far uscire due EP, non a caso il lato A e il lato B del disco sembrano quasi due lavori diversi. Dopo una lunga contrattazione, gli Zeppelin riescono ad accordarsi con l’etichetta sull’uscita di un LP, a patto che questo non venga affatto promosso e che esca senza titolo. 

 

Il remaster

Il missaggio originale del disco fu eseguito a Los Angeles, ma in realtà a causa di notevoli ritardi di consegna, venne rifatto nel Regno Unito, ritardando notevolmente l’uscita dell’opera sul mercato. Il vinile originale ovviamente mantiene il suono autentico di quella produzione, mentre in questa versione rimasterizzata lascia un filo a desiderare. 

La digitalizzazione del suono spesso non si sposa bene con le distorsioni e i suoni usati negli anni ‘70, rendendoli un filo robotici e perdendo un po’ di profondità. Per questo è preferibile optare per la versione di IV su CD, specialmente se volete ascoltare l’opera con un suono quanto più fedele all’originale. Chiaro che se volete esporre il disco con la sua emblematica copertina, allora potreste considerare l’acquisto dei vinile. 

 

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Ultimo aggiornamento: 24.04.24

 

Principale vantaggio

Dopo i primi quattro dischi ‘numerati’, Physical Graffiti è probabilmente uno degli album dei Led Zeppelin più amati dai fan, forse anche più del precedente Houses of The Holy. Qui il quartetto inglese continua a mostrare una certa maturità, allontanandosi dal rock più sfrenato degli esordi per provare soluzioni più melodiche, senza però mai mollare la vena blues che li contraddistingue. Sono comunque ben lontane le soluzioni troppo ‘prog’ del precedente disco che lasciano spazio al ritmo e a tracce più dirette. Un disco da avere, specialmente se state collezionando l’intera discografia della band. 

 

Principale svantaggio

Si tratta di un disco di ben 82 minuti, una lunghezza a dir poco spiazzante e che solitamente rende difficile l’assimilazione di un disco. Diciamo che nonostante la bravura della band, all’interno di Physical Graffiti troviamo delle tracce poco memorabili (i cosiddetti ‘filler’), non tanto perché mal composte o suonate, quanto perché spesso tendono a perdersi nel minutaggio eccessivo. Questo album non è proprio l’ideale per avvicinarsi ai Led Zeppelin, infatti è meglio arrivarci dopo aver ascoltato i primi lavori. 

 

Verdetto: 9.5/10

Molte band all’apice del successo sono solite proporre il classico ‘discone’, ovvero quello dal minutaggio che supera 40 minuti. Il rischio ovviamente è quello di sfiancare l’ascoltatore e rendere il prodotto poco assimilabile. Physical Graffiti dei Led Zeppelin è probabilmente la loro opera magna che racchiude l’essenza rock-blues della band in maniera più ragionata, senza però abbandonarsi a lavori un po’ ‘estranei’ come successo in Houses of The Holy. Questa edizione per il quarantesimo anniversario si presenta in un cartoncino che non ne valorizza il contenuto, motivo per il quale non possiamo darle un punteggio pieno. 

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DESCRIZIONE CARATTERISTICHE PRINCIPALI

 

Il ritorno dell’hard rock

Con Houses of The Holy i Led Zeppelin non avevano proprio riscosso un grande successo di critica: il disco si allontanava di gran lunga dall’hard rock selvaggio dei primi quattro lavori, per provare una strada prog rock e folk che si avvicinava alla scena di Canterbury, proponendo tra l’altro alcune tracce completamente ‘fuori genere’. 

Physical Graffiti è probabilmente il primo album registrato dai Led Zeppelin in un periodo di pausa, cosa che ha sicuramente giovato alla composizione delle tracce del disco. Qui si ritorna alle origini, con un hard rock di stampo chiaramente blues, dove comunque troviamo un songwriting più calmo e ragionato che riesce a mantenere compatta l’opera pur attraverso composizioni di diverso tipo. Il disco fu accolto con grande entusiasmo da pubblico e critica, finendo in cima alle classifiche britanniche e statunitensi. Per alcuni è addirittura il disco migliore mai prodotto dalla band. 

Ottanta minuti di musica

Se non avete mai ascoltato questo disco per intero, preparatevi perché la tracklist di Physical Graffiti arriva a un totale di ben 82 minuti di musica. Prima di farvi venire l’acquolina in bocca però, considerate che un minutaggio tale rende un’opera musicale abbastanza difficile da assimilare e questo discorso vale anche per l’album in questione. 

In generale le tracce sono tutte di ottimo livello, specialmente brani come il trio di apertura, Houses of The Holy e Kashmir, quest’ultima caratterizzata da uno dei riff più iconici dell’hard rock\metal, utilizzato anche dai Rage Against The Machine nel brano Wake Up. L’insieme quindi è un’esperienza assolutamente piacevole, dove si spazia dall’hard rock al blues, con inserti rock più classici e tracce folk. 

La produzione del suono è il filo conduttore che lega l’intero disco, tenendolo su sonorità coerenti senza che i brani vadano alla deriva come nel disco precedente. Inevitabile trovare qualche traccia non proprio memorabile che viene ‘schiacciata’ dalla durata del disco e che magari si potrà riscoprire dopo svariati ascolti nel tempo.

 

Il remaster e la confezione

Il prezzo di questo remaster lascia un po’ interdetti, in quanto non giustifica affatto il packaging a dir poco grossolano del disco, tra l’altro non specificato nella descrizione del prodotto. La custodia di carta sottile rende veramente poca giustizia ad un disco di questo calibro, inoltre non protegge il contenuto con efficacia, risultando anche poco bella da esporre in una collezione. Per quanto riguarda la rimasterizzazione delle tracce, possiamo ritenerci soddisfatti, il lavoro è stato eseguito egregiamente e aggiunge un tocco di modernità al sound, aprendolo e rendendolo più chiaro senza snaturarlo. 

 

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Ultimo aggiornamento: 24.04.24

 

Principale vantaggio

L’album dei Led Zeppelin basato sul film concerto del 1976 tenutosi al Madison Square Garden di New York che ha contribuito a lanciare il quartetto britannico sul mercato statunitense. Questa edizione si presenta in un bellissimo digipack contenente i due dischi del live rimasterizzati e un booklet di ben 24 pagine dove troverete fotografie tratte dall’evento. Se amate i Led Zeppelin questo disco non può mancare alla vostra collezione, sia per l’esecuzione esplosiva dei brani dal vivo, sia per l’importanza che il concerto ha avuto per la band e per la musica rock in generale. 

 

Principale svantaggio

Nel caso stiate scoprendo la discografia dei Led Zeppelin e la vogliate approfondire, allora questo live potrebbe non essere un buon punto di partenza. Nonostante la scaletta di tutto rispetto veda la presenza di ottimi brani tratti dalla loro discografia, vi consigliamo di puntare sui dischi in studio, in modo da potervi avvicinare all’opera della band in modo graduale, carpendone anche il lato più legato al folk e al blues. 

 

Verdetto: 9.7/10

A differenza di altri remaster e riedizioni degli album dei Led Zeppelin, questa di The Song Remains the Same si presenta con un prezzo abbastanza conveniente che vi permette di acquistarla senza spendere troppo. Il digipack e il libretto sono stati ben curati, con una grafica piacevole, mentre la rimasterizzazione delle tracce soddisfa pienamente, in quanto presenta un suono più chiaro e aperto, con un buon bilanciamento tra strumenti e frequenze. Il nostro verdetto è molto positivo, sebbene trattandosi di un live non pensiamo sia il caso di consigliarlo per iniziare la vostra collezione di dischi dei Led Zeppelin. 

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DESCRIZIONE CARATTERISTICHE PRINCIPALI 

 

I Led Zeppelin conquistano l’America

Nel 1976 i Led Zeppelin erano all’apice della loro carriera, dopo la pubblicazione dei primi quattro granitici dischi tra l’hard rock e il folk, con il disco Houses of the Holy era passata a sonorità decisamente più leggere che vertevano sul progressive. Nonostante all’epoca la critica spesso li bistrattasse per i loro dischi poco compatti e per alcuni spunti musicali al limite del plagio, i Led Zeppelin, con le loro grandi esibizioni dal vivo, avevano ormai conquistato il Regno Unito e in parte anche gli Stati Uniti. 

The Song Remains The Same è il loro primo album dal vivo, registrato per il live dell’omonimo film concerto tenutosi al Madison Square Garden di New York. Questa edizione rimasterizzata presenta la tracklist della versione del 2007 che comprende tracce inedite come The ocean e Over The hills and Far Away.

Una tracklist di alto livello

Ben 130 minuti di musica da ascoltare a tutto volume, con una tracklist che contiene diverse tracce del disco Houses of The Holy, per il quale fu organizzato il tour. Si parte con la granitica Rock and Roll, per passare a Black Dog e alle più riflessive Over The Hills and Far Away e Since I’ve Been Loving You. Rain Song, The Song Remains The Same e The Ocean chiudono il primo disco del remaster. 

Il secondo comincia con una versione incredibile del blues psichedelico di Dazed and Confused, dove John Paul Jones mostra la sua abilità in un assolo con il pianoforte elettrico Fender Rhodes e Jimmy Page risponde con un assolo di chitarra suonata con l’archetto da violino. Si passa poi alla famosissima Stairway To Heaven dal disco IV e al roboante assolo di batteria di Bonham su Moby Dick. Il tutto si conclude con l’esplosiva Whole Lotta Love. 

 

Un remaster ben riuscito

Solitamente le rimasterizzazioni dell’hard rock e del metal prodotto negli anni ‘70 riescono solo a metà. Da una parte aprono di più suono, rendendolo un filo più chiaro e valorizzando alcune parti strumentali come la sezione ritmica e la voce, dall’altra parte invece ‘compromettono’ il sound originale e di conseguenza il fascino ‘vintage’ dell’opera. 

Il lavoro fatto su The Song Remains The Same sorprende, in quanto valorizza tutti gli strumenti usati dal vivo per rendere il suono più comprensibile e meno ovattato. Da premiare anche la cura con la quale è stato realizzato il digipack, con una grafica adatta al contesto e che vi permette di esporre il CD nella vostra collezione. All’interno il booklet contiene delle fotografie del live e diverse informazioni interessanti.

 

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Ultimo aggiornamento: 24.04.24

 

Principale vantaggio

Quando si pensa ai Led Zeppelin viene subito in mente la classica band dell’immaginario rock anni ‘70: ribelli, spregiudicati e geniali. Il disco viene spesso considerato uno dei capisaldi dell’hard rock, in quanto contiene brani assolutamente selvaggi dove il quartetto inglese mette in mostra le abilità tecniche e compositive. Basta l’opener Whole Lotta Love a mettere subito le cose in chiaro, con uno dei riff più iconici della storia del rock. Un disco che ogni appassionato di musica dovrebbe avere nella sua collezione, ancor di più se siete fan dei Led Zeppelin. 

 

Principale svantaggio

Questo album dei Led Zeppelin non è esente da difetti, uno su tutti il leggerissimo plagio di alcuni lavori di bluesmen come Willie Dixon e Howlin’ Wolf. Con il senno di poi, nel blues l’utilizzo delle dodici barre e di alcune idee melodiche tende a ripetersi nelle composizioni dei vari artisti, quindi diciamo che queste accuse lasciano un po’ il tempo che trovano. Chiaro che se apprezzate il blues, potreste trovare alcune idee dei Led Zeppelin non proprio originali, come d’altronde non le trovò la critica dell’epoca all’uscita del disco. 

 

Verdetto: 9.8/10

Nonostante alcune idee prese direttamente dagli artisti blues statunitensi, II rimane un disco hard rock di grande importanza per il genere e per la musica in generale. Il blues qui viene esasperato con distorsioni estreme per l’epoca, creando un sound infiammato e sulfureo, portato avanti dalla chitarra di Jimmy Page e dalla sezione ritmica composta da Bonham e Jones. Come una fiammata sull’alcol arriva la voce di Robert Plant che manda a fuoco le composizioni. Un disco da avere, al quale non diamo un punteggio pieno solo perché su alcuni punti non è proprio il massimo dell’originalità. 

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DESCRIZIONE CARATTERISTICHE PRINCIPALI 

 

La nascita dell’hard rock

Alla fine degli anni ‘60 nel Regno Unito si stavano sviluppando nuove correnti musicali come il punk e l’heavy metal, caratterizzate da suoni distorti e ritmiche selvagge. Tra le varie band che iniziavano a prediligere queste sonorità ‘scomode’ troviamo anche i Led Zeppelin al loro secondo album. 

Musicisti di grande tecnica e capacità compositiva, gli Zeppelin abbracciano il blues del Mississippi e le sonorità rock\folk inglesi per creare il loro sound, un rock più duro e scatenato, portato avanti in maniera dirompente grazie alle loro incredibili esibizioni dal vivo. Prodotto tra Londra, Los Angeles, Tennessee e New York, questo disco è l’unione del sound britannico con quello statunitense, dove i suoni più caldi e le distorsioni estreme si uniscono ad atmosfere più rilassate. 

Le tracce

Si parte con Whole Lotta Love, caratterizzata da un riff martellante e da una parte assolutamente folle dove il feedback e il rumore della chitarra vengono accompagnate dai vocalizzi di Plant, intento a simulare un orgasmo. Si passa poi a What is and What Should Never Be, momento prettamente folk\blues del disco che presenta un ottimo crescendo e passaggio da riff acustici alle distorsioni elettriche. 

Con The Lemon Song e Heartbreaker si torna all’hard rock tipico dei Led Zeppelin, con riff pesanti e sezione ritmica prorompente. Con Living Loving Maid troviamo un buon incontro tra l’hard rock e il rock classico della British Invasion. Nella strumentale Moby Dick, dove John Bonham si esprime in un lungo assolo di batteria, mostrando le sue abilità tecniche. Il disco si conclude con il rock blues di Bring it on Home. 

 

Il remaster 

Il remaster del disco riesce a catturare il suono dell’incisione originale, rendendo i suoni più ampi e chiari, in particolare la voce di Plant che risulta più presente rispetto all’edizione degli anni ‘70. Delude la custodia del CD realizzata in carta poco resistente e non troppo bella da esporre in una collezione. 

Dopo questo album, il quartetto si avvicinerà sempre di più alle sonorità folk, fino ad abbandonare l’hard rock degli esordi. Per questo II viene considerato il vero capolavoro dei Led Zeppelin dagli amanti della band in cerca del loro sound più autentico e scatenato. Nonostante sia stato accusato di plagio per alcuni riff tratti senza alcuna vergogna dai lavori di Willie Dixon e Howlin’ Wolf, II dei Led Zeppelin rimane un ottimo lavoro della band che riesce nell’intento di unire il rock inglese con le sonorità blues, come nessun altro aveva saputo fare prima. 

 

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